Quando vagliai per la prima volta di vedere Aliens avevo circa 16-17 anni, ma scoperto che il film era stato girato da uno dei miei director preferiti nell’infanzia come James Cameron (non lo sapevo ma mi piaceva un mondo Terminator 2), e ulteriormente convinto poco prima dall’ottima impressione che mi aveva fatto Alien di Ridley Scott, decisi di metterci su mano in maniera decisa.
Aliens é il sequel diretto del capostipide della saga degli xenomorfi, i terribili mostri alieni “antagonisti” che di volta in volta cercheranno di avere la supremazia sugli umani che si trovano ad affrontare. Ellen Ripley, nuovamente in contatto con la Weyland-Yutani, scopre che é stata formata una colonia terraformante sul pianeta che causo tanti trambusti sulla nave commerciale Nostromo: LV-426. Scoperto che dalla stessa colonia non arriva più alcun contatto, la compagnia cerca di capire cosa sia successo sul pianeta e cerca di convincere Ripley a partecipare a un’operazione di soccorso insieme a un addestratissimo gruppo di marines. Tra dubbi e incertezze, però, l’ex passeggera del vascello commerciale vuole cancellare i propri incubi e decide quindi di partecipare all’operazione nella speranza che l’interruzione dei contatti non sia legata ai mostruosi alieni che tanto teme.
Abbiamo quindi a che fare con una sinossi della pellicola solida che ci introduce a una narrativa densa e articolata.
Più alieni e più pienezza
Mettiamo subito in chiaro che il regista di Aliens più che puntare su una resa delle immagini in movimento più plastica (pur non rinunciandoci totalmente), come accadrà qualche anno dopo con il sequel di Terminator, sfoggia invece tutto il repertorio usato fin lì dalla cinematografia per rendere il film sempre dinamico anche nei momenti più pacati, in modo da concedere allo spettatore un’evoluzione della camera che sembra aderire perfettamente a ogni situazione proposta, esaltandola, inspessendola.
Ma come il film stesso, prima di esplodere definitivamente durante il minutaggio, voglio prendermela con calma per spiegarvi a grandi linee come il director di Avatar sia riuscito nel cesellare un lavoro certosino cominciando proprio da questo aspetto.
Inizialmente Cameron lavora sulla regia della pellicola ad immagini che tradiscono sempre un certo bilanciamento tra riempimento della stessa e mobilità non molto accentuata, sempre per solleticare in qualche modo l’attenzione dello spettatore e non annoiarlo. Basti pensare, per esempio, al campo medio in cui l’eroina é seduta ad osservare uno schermo che mostra una natura rigogliosa. Uno schermo che non si scopre come tale fino a quando non vuole il regista. Un momento curioso, che attira l’attenzione visto il ribaltamento di prospettiva improvviso dell’ambiente metallico che ci si era trovati ad osservare fino a quel momento, e allo stesso tempo coerente, dato che crea una sorta di compensazione tra ambiente artificiale e ambiente naturale ed é filtrato logicamente dal fatto che sia proiettato su uno schermo.
Da citare nella lista dei pregi registici, ci sono anche certe inquadrature legate ai veicoli in movimento quando stanno eseguendo una certa azione specifica in una sequenza in cui sono protagonisti, come per esempio sfondare un muro. Il tutto lo ritroviamo, per esempio nei road movie degli anni 70 come Fuori in 60 secondi, dove la camera che li riprende dal basso verso l’alto gli conferisce imponenza e per collegamento logico anche una ragguardevole pesantezza.
Ma non esiste Aliens senza sequenze di suspance e soprattutto d’azione. In questo senso Cameron decise, molto coraggiosamente, di sfruttare nella soprattutto nella prima parte del film ancora qualche carta potenziale che poteva avere in mano tramite la disponibilità di più alieni e quindi di una possibilità di varietà più ampia nello gestire certi meccanismi attendisti e action tramite la regia.
Ottima, in questo senso, la sequenza in cui si fa intendere a un certo punto che un gruppo di alieni possa spuntare da delle intercapedini sul soffitto, dove il concetto di soffitto fino a quel momento visto nel film, formato da dei pannelli integrali e contornati da tubazioni, viene ribaltato, agli occhi dello spettatore. Abbiamo quindi delle grate metalliche scevre di tubazioni e forate che sviano l’attenzione e la credibilità che dietro di esse vi si possano nascondere i nemici, aumentando la curiosità e il pathos della scoperta verso la scena. Inoltre la stessa presenta quasi tutte le inquadrature utilizzate da Cameron per la regia, che vengono piegate anche
all’esigenza del caso. Abbiamo quindi, primissimi piani di visi molto concentrati, piani americani. piani attraversati e furbe inquadrature dal basso verso l’alto che sembrano confermare in pieno la supremazia di certi soldati per poi farli cadere miseramente aumentando ancora il pathos e l’imprevedibilità.
Ultimo ma non ultimo sono i particolari legati alla cornice delle varie scene. In Aliens infatti si cominciano a intravedere dei vezzi della regia magniloquente e ricercata di Cameron dove anche lo sfondo é molto importante per dare ricchezza alle immagini. Se ci si fa caso, infatti, certe inquadrature e mezzi busti lasceranno molto spazio agli sfondi, restituendo un immagine ricca e soddisfacente.
Insomma, ci troviamo di fronte a una perla tecnica del settore, superata solo per plasticità e imponenza dal già citato sequel di Terminator sempre firmato Cameron: forse il più bel film d’azione di tutti i tempi.
L’ordine nel caos
Ma se la regia del film é un vero e proprio pezzo d’antologia da studiare e ristudiare, non è così di meno la sceneggiatura, praticamente quasi esente di difetti a parte qualche piccolissima sbavatura di cui non curarsi. Ma non poteva essere altrimenti visto che anche questa fu curata di proprio pugno dallo stesso regista in collaborazione con Walter Hill.
Addentrandoci é molto interessante come Cameron e Hill abbiano pianificato di giocare moltissimo con le aspettative dello spettatore. Per esempio, tramite l’ambientazione di una base diroccata, la suspance é allestita con precisione matematica e progressiva. Una suspance che indica in maniera naturale da quale momento sarebbe potuta cominciare la festa ai danni dei Marine assoldati nella pellicola aumentando vertiginosamente il ritmo. Senza anticipare
troppo, quindi, in maniera calcolatissima viene espanso per gran parte della pellicola “molto fumo” che serve ad alzare la tensione in molte sequenze solo poi apparentemente pericolose. Momenti apparenti che si avvicendarono in sede di stesura tramite una sorta di campanello d’allarme visivo che serviva ad aprire la battaglia tra umani e xenomorfi.
Di gran rilievo anche le battute interne alla pellicola che riescono anche a delineare il percorso di alcuni personaggi nella storia in maniera inizialmente insospettabile, complementare. Il soldato Hudson, per esempio, che pensa tra un sorriso beffardo e l’altro di doversi confrontare con creature aberranti, diverse da noi come gli scarafaggi ma innocue, non sa che invece lo aspettano sì delle creature aberranti e diverse da noi, ma che in maniera diametralmente opposta saranno molto potenti oltre a levargli il sorriso terrorizzandolo.
La cura nello script si posa anche nel rapporto tra Ripley e Newt, una superstite della colonia su LV426. Le due tramite dei comportamenti iconici come tra madre e figlia, discutono di temi atavici come l’esistenza dei mostri, si abbracciano e si addormentano assieme, si chiamano a squarciagola, ottenendo l’effetto desiderato di tessitura di un rapporto credibile. Un rapporto che si rifà ad ogni modo sempre a una sorta di dualità. Ad esempio, Newt si mostrerà come una ragazzina un po’ “bipolare” per lo shock subito, letteralmente spezzata, aggressiva e tenera, sognante e disincantata a fasi alterne che tenterà di recuperare la propria integrità psichica.
Il rapporto tra il caporale Hicks e Ripley risulta invece costruito su una sorta di base romantica declinata e personalizzata in base al genere della pellicola, la fantascienza-horror, in maniera originale. Si parte dunque in maniera credibile da una grossa ammissione di fiducia, fondamentale tra i due. Una fiducia che si trasforma da quel momento in un anello da donare che diventa un braccialetto consegnato per sopravvivere e in degli insegnamenti per utilizzare il fucile che sembrano tanto le lezioni di golf tra due innamorati.
I dettagli però contano in una sceneggiatura scritta come si deve e Aliens non ne fa a meno per niente.Alcuni di questi aspetti sono sicuramente legati alla forma della Sulaco, giustamente la nave dei Marine visto che presenta una forma che ricorda un fucile oppure alla cicatrice sulla destra di uno dei soldati, che lo porta ad essere lesionato nello stesso punto dall’acido molecolare del nemico, come se quella vecchia ferita richiamasse una nuova ferita.
Volendo accennare a qualche piccolissima forzatura, in un film così spiegato sia da immagini che parole, però risulta un po’ tirato e fuori posto il destino di un ricevitore da polso, che passa di mano in mano facendo mancare un passaggio sia in immagini che parole che crea un piccolo vuoto colmabile solo da spiegazioni interne. Ad ogni modo, si tratta davvero di una piccolezza in due ore di gran spettacolo.
Per quanto concerne invece il valore etico e speculativo in termini di pensiero della pellicola, abbiamo a livello esemplificativo, una protagonista pronta a tutto per poter salvare la propria bambina e il valore dell’affetto di una madre é costruito con valore dai già citati dialoghi e gesti archetipici ma ben bilanciati che Newt e Repley si scambiano nella pellicola.
Passando alla fotografia, il prodotto si rifà in più casi al canone dell’horror classico in maniera funzionale, rimanendo tetro e metallico, d’atmosfera, anche nelle scene d’azione, sposandosi abbastanza bene con quelle che erano per esempio le spie rosse anti incendio per poter creare un ambiente rosso, intenso e teso in particolari sequenze di thrilling. Anche in questo caso Cameron dimostra come conosca l’universale versatilità dei colori, e lo stesso colore verrà utilizzato, con un metodo progressivo, da azioni statiche a movimentate per poter probabilmente creare movimento subliminale all’interno della pellicola oltre quello didascalico delle azioni dei personaggi e dei mezzi.
Un’efficacia divisa tra mente e cuore
Ottimo il montaggio, seppur non a livelli eccezionali visto che risulta tradizionale, che da risposte un po’ peggiori solamente nella versione estesa, pur essendo comunque sempre di un gran livello ma un pelo dilatato. Si ha infatti a che fare con porzioni narrative che non sono riuscite a riempire le immagini aggiuntive con sequenze davvero necessarie allo sviluppo della vicenda quasi nella loro totalità.
Si ha a disposizione quindi un ritmo generalmente lento inizialmente che viene progressivamente contaminato di sempre più birra che partono da piccole scosse, fino al pirotecnico finale. Il tutto é messo quindi insieme da un montaggio che le fa terminare sempre in maniera tempestiva e chirurgica quando si é esaurito tutto l’interesse tematico e visivo che possono suscitare
per quello che sta succedendo, quasi in maniera netta. Un metodo che fa risultare il tutto molto pulito e senza strascichi.
Venendo agli effetti speciali, sicuramente ci troviamo davanti a un’opera che a suo tempo risultava veramente eccezionale. A tutt’oggi, invece, seppur datati e notabili in quanto tali, prima di tutto, da delle movenze un po’ legnose e a scatti degli alieni, riescono ad essere ancora di buon impatto (soprattutto per un certo personaggio), ricreando un’atmosfera credibile, adrenalinica e comunque appagante.
Non troppo bene in questo senso, per i giorni nostri, invece le scene in esterni, evidentemente un po’ posticce data una complessità dell’illuminazione nettamente differente, per esempio, in certi frangenti, tra terreno e cielo. Vanno a corollario anche delle intemperie atmosferiche come i fulmini evidentemente finti per la loro scarsa illuminazione, mentre risultano fluide e convincenti le uova di facehugger e tutto quello che viene girato in interno, che se non fosse per gli schermi analogici e qualche pulsante colorato di troppo, figlio della sua epoca, sarebbe ancora attualissimo. Fortunatamente il film dispone di moltissime scene in interni, azzerando quello che é praticamente solo una problematica di qualche minuto e nulla più.
Le prove attoriali sono in generale abbastanza buone, con personaggi che mostrano loro stessi tramite battute, ammiccamenti, e anche luoghi comuni che però risultano perfettamente contestualizzati. Abbiamo quindi il nevrotico, il riflessivo, il viscido e così via. Tra tutti spicca senza ombra di dubbio l’interpretazione di una Segourny Weaver in gran forma, combattiva, intensa, decisionale, delicata e materna quando é necessario ma non invincibile in un coacervo di comportamenti che delineano in maniera soddisfacente quello che si dovrebbe avere a schermo da una protagonista di un film action.
Per quanto riguarda il comparto sonoro, infine, tutti i rumori ambientali e i versi degli alieni sono azzeccatissimi e credibili. Il tutto é accompagnato da una musica lenta e d’atmosfera nelle scene più parche spaziali e da un ritmo incalzante che raggiunge note altissime e liriche più ci si avvicina al finale.
In definitiva, Aliens, é un grandissimo film che costruisce con un perfezionismo d’altri tempi una narrativa che prima di essere legata al cinema di genere é proprio legata al senso di quello che la cinematografia in linea generale dovrebbe esprime. Un’esperienza cbe insidia, quello che fu il capostipide della saga degli xenomorfi, l’Alien di Scott, in maniera legittima. Guardatelo, ne varrà la pena.