Questo excursus, come avrete letto, utilizza il colpo di scena ad effetto, così come é stata una sorpresa l’annuncio del reamake che tratta. Come? Sì, avete letto bene: remake. E così, a bruciapelo, arriva il secondo colpo di teatro. Non pronosticabile così presto, non pronosticabile come l’originale annuncio di avere tra le mani, in epoca ps2, un gioco d’avventura in cui i labirinti sono integrati a dei giganti mobili da sfidare e sconfiggere. Si tratta quindi di qualcosa non visto in lontananza e forse anche per questo ancora più efficace, pregnante. E remake sia, allora.
Deep into that darkness peering
L’oscurità di cui si parla, di letteraria memoria, è inerente più che altro al bruno di un manto oltre che all’atmosfera gotica che permea il titolo. Anzi, alle varie pellicce dei tanti colossi da sfidare. Delle superfici a cui aggrapparsi faticosamente, strenuamente, in una rappresentazione di una scalata legata a duelli debordanti.
Sfide che risultano essere la replica di quello che é il centro tematico della torre di Babele: una costruzione che si “arrampica” fino ad arrivare in cielo, a minacciare un dio biblico opportunamente traslato, nascosto e vestito di apparenti e altri fantasiosi culti.
Un dio che ha nel patriarca Emon, in come é abbigliato, l’evidente pontefice del bene che deve preservare quello che é giusto dalla minaccia del nebuloso e buio (?) Dormin.
Si ha dunque a che fare con degli arrampicamenti continui che sono il cuore del gioco sia a livello di gameplay che tematico. Quelle scalate grevi figlie del titolo originale concepito interamente da Ueda e il suo staff che in quanto prole risultano però diverse.
Profondamente diverse. Come se un ragazzo passasse dall’avere un fisico solo un po’ ateltico che non ha la forza di farsi etichettare con un aggettivo, all’essere proprio un palestrato che invece lo riesce a definire, categorizzare.
Si é di fronte, infatti, a una riconfigurazione dei comandi per controllare Wander dopo aver assistito al solenne filmato introduttivo, di cui il fulcro che fa pendere questo titolo verso il remake é concentrato nella nuova mansione del tasto R2. Un tasto davvero palestrato rispetto al passato per la mansione che deve svolgere. Aggettivato con potenza e quindi diverso rispetto all’originale.
Un tasto di passione, volontà e sacrificio, che nella sua genuina forza nell’esprimere il più basilare dei game feel, stravolge tutto, fino a renderlo più che una remastered. Più che un titolo potenziato graficamente. Ma appunto un remake.
L’importanza di questo spostamento al tasto R2 dall’originario R1 si sente moltissimo alla pressione. Il tasto deve essere più “difficile” da premere, richiedente più forza rispetto a tutti gli altri ( a parte il suo gemello L2) per dare la giusta impressione che per afferrare e tenersi saldi a dei colossi che periodicamente tenteranno giustamente di liberarsi del nemico che li ha insidiati ci voglia un bel po’ di forza. Senza contare che l’aspetto concavo del tasto racchiude bene il rimando della chiusura di un dito, di norma tubolare, che va a deformare in maniera circolare il pelo a cui si é aggrappati.
Qualcuno sicuramente affermerà in questo caso che certi colossi sono dotati anche di armature e di ossa e che questi elementi non si deformano al contatto con le mani in maniera circolare, spezzando un po’ questo concetto. In ogni caso, però questo elemento non ha importanza, visto che il pelo da deformare é presente in maniera generalizzata in tutte le creature oltre ad essere praticamente molto vicino o sovrapposto ai vari punti vitali di cui dispongono, esaltando il concetto di deformazione del pelo e resistenza nella presa tramite la forza in maniera pressante ed egemone che si riversa naturalmente nel tasto concavo R2.
Un grilletto, quindi che si trasforma per l’occasione in espressione della presa salda e resistente. Pura e plastica adattabilità del gaming. Magia. Una magia definita ancora di più ovviamente da tutte le sessioni di vibrazione del caso da parte del controller.
Per non rimanere però sprovvisti di un vero confronto col passato, nel caso specifico, é giusto argomentare su come non solo il tasto R1 del controller ps2 o ps3 non fosse concavo non ricalcando quindi le dita e la deformazione del pelo al contatto, ma di come fosse facilissimo da premere non facendo corrispondere alla forza necessaria avvertibile
a schermo, aiutata solo dalla vibrazione. Quella forza tattile che avrebbe dovuto esserci controller alla mano.
C’é però da aggiungere, ad ogni modo, che tutto questo si risolve in delle mancanze che sono più avvertibili in maniera retroattiva una volta giocato il remake del gioco che non senza.
Della serie: siccome siamo affezionati ai vari vecchi dualshock da utenti Sony e non, abbiamo comunque accettato senza troppi problemi che sia stato il tasto R1 ad accompagnarci fino alla PS4, perché é più importante aver avuto un controller familiare che un feeling migliore e occasionale con la versione originale e rimasterizzata di questo gioco. Ma dalla Ps4, almeno per il sottoscritto, la storia é cambiata.
Risulta comprensibile da un certo punto di vista, la questione della familiarità con il controller, quindi, ma non per forza di cose esatta, visto che l’esperienza con ogni singolo gioco tramite il controller é davvero importantissima, se non proprio totalizzante nella sua importanza quando il videogiocatore vi si interfaccia.
Trascendenza divisa
Dalla felice intuizione della riconfigurazione dei comandi, e del tasto R1 che ha lasciato il posto al R2, si ritorna ad analizzare tutto ciò che ci si é lasciati dietro, rinverdendo in maniera modesta ma sicuramente in modo coerente a livello di struttura di questi approfondimenti, i fasti del colpo di scena. Non c’é due senza tre, e ci si era lasciati nella scorsa carta di considerazioni in sospeso nella descrizione dei vari colossi, così come del finale del titolo.
Tutto ciò lo si é evitato nel primo paragrafo, a sorpresa, quindi, nonostante il tema fosse caldo, per riprenderlo adesso in tutte le sue sfumature e articolazioni. Dopo la descrizione dei colossi umanoidi si ha quindi a che fare con quelli animali, apparentemente distaccati da questi ultimi e senza un continuum logico preciso che però esiste, rifacendosi al concetto filosofico giapponese degli opposti che si compensano e formano un collegamento logico. Dove c’é la luce esiste anche l’ombra, insomma.
E’ giusto far notare, prima di cominciare, infine, come ogni colosso prettamente bestiale sia si collegato l’un l’altro ma che il rapporto di abbinamento é legato al fatto che tutti provengono da quella che é stata l’unione, forse progressiva per acquistare potere, di Dormin con varie e normali bestie del creato, quali normali cavalli, tartarughe, lucertole, uccelli, pesci, tori, in gran parte presenti anche nelle terre maledette.
Creature che, giustamente sono connotate anche da canoni di estinzione, come nel caso delle bisce di terra o i tori stessi, o degli stessi draghi, portatori di protezione e prosperità e inseriti grazie al racconto epico del titolo e alla sua filosofia orientale come animali naturali, che in un posto del genere ne rafforzano, tramite la loro assenza, il senso di luogo inospitale e decadente. Alla fine nelle mitologie varie creature fantastiche ci vengono presentate come facenti parte della natura, no?
Quadratus che sottolinea con questo primo nome di essere un quadrupede, é il primo del percorso e il suo nome esteso, Taurus Magnus, non credo abbia bisogno di spiegazioni. E’ il risultato dell’unione di Dormin con un toro ed é interessante come lo stesso si presenti sfondando un muro a protezione, incornandolo come farebbe un vero appartenente alla stirpe dei tori in maniera iconica per sottolinearne la natura. E’ il primo di quei nemici ad avere dei punti deboli per poter permettere di poterci salire su, direttamente sugli zoccoli.
Questo stratagemma a quanto pare, mischia il simbolico in maniera inerente all’epica tradizionale insieme a quella che é una caratteristica naturale del toro. Lo zoccolo quindi diventa, nella sua parte di appoggio, il classico bersaglio generalmente circolare da colpire con le frecce per avere dei benefici (punti nel tiro al bersaglio, e la possibilità di salire in groppa al mostro nel gioco) che é proprio situato in una zona così apparentemente dura perché alla fine Quadratus é vero che ha l’aspetto di un toro, ma ha anche l’influenza di un’entità trascendente.
Ergo risulta logico che rispetto alla natura degli zoccoli inscalfibili di un toro senza ovviamente influenza divina, questi diventino scalfibili, deboli, per confermare proprio tale influenza in una creatura che la ospita.
Da notare anche il fatto che lo stesso Taurus agisca in un’arena che mischia pochissimi ruderi artificiali, come il muro che sfonda e qualche colonna, integrati in un paesaggio per gran parte naturale, andando a collegarsi a quella che è l’abiità di valus non troppo avanzata di sviluppare tecnologie, come da caratteristica dell’uomo primitivo. Inoltre abbinando proprio Valus e Taurus e rispettive arene, si va proprio a rafforzare il senso di avere a che fare con il periodo in cui l’uomo primitivo oltre la tecnologia doveva affiancarsi anche a del bestiame, di cui il toro é un esempio iconico.
Dall’unione di Dormin e un cavallo, a questo punto, nasce Phaedra. Il nome é di intepretazione particolare in quanto prende spunto dalla mitologia e dall’inganno della matrigna Fedra (Phaedra, in latino, appunto), ai danni del figlio Ippolito (derivante dal greco, a cui la mitologia latina é strettamente legata. “Hippo” infatti significa cavallo nella lingua ellenica). Tra l’altro bisogna proprio ingannare Phaedra, durante lo scontro per potergli montare in groppa, sfruttando delle gallerie sotterranee.
Il suo aspetto più magro é la conseguenza di un’evoluzione coerente dove al corpulento toro va a succedere un più equilibrato cavallo nella massa. A livello ingegneristico il terreno di scontro é la conseguenza dello scenario precedente molto naturale ma che nasconde una decisamente più estesa mano dell’uomo, guardando quindi al futuro tramite le varie gallerie decisamente complicate per una mano preistorica, e quindi alla successione, e all’evoluzione.
Allo stesso tempo lo stesso terreno di scontro può essere associato senza problemi a quello di Gaius nella sua raffinatezza costruttiva (alla fine si tratta di un baldacchino che rispecchia la tavola rotonda, utile nel suo essere a superficie totalmente liscia e senza rocce, per non dare nascondigli utili al nemico), anche se non molto elevata.
Infine il cavallo e il cavaliere vanno bene insieme in maniera molto eloquente nell’iconografia medievale soprattutto quando si tratta di battaglie esaltato inoltre dal nome latino esteso Equus bellator apex (cavallo da battaglia da corsa). Questa coppia, insieme ai terreni di scontro ad essi adibiti, evoluti nettamente rispetto al passato ma non troppo, conferiscono la giusta rappresentazione del periodo medievale.
Avion, inutile dirlo, ma giusto precisarlo per completezza, é l’unione tra l’entità trascendentale guida e un comune uccello. Il suo aspetto é sempre coerente a quanto visto con i primi due colossi bestiali inquanto é la risultante molto magra dei primi due, che giustamente, a questo punto non avendo molto peso che la tiene legata alla terra, può anche prendere il volo.
Foneticamente il primo nome corrisponde alla fonetica latina e al termine Avius che poi ritorna nel nome esteso, ma ha matrice espressamente francese, collegandosi al ciclo bretone dei cavalieri che é il più grande punto di riferimento dell’epica cavalleresca e quindi anche a Phaedra, cavallo del cavaliere Gaius.
La stessa cittadina di Avion, in Francia, guarda caso, é proprio geograficamente posizionata sulla punta più alta della Francia, rafforzando il fatto che l’uccellaccio, grazie al suo volo, può guardare e predare (Avis praeda, il suo nome esteso) tutti dall’alto.
I riferimenti ai due colossi precedenti non é un caso, visto che oltre ai vari collegamenti spiegati, Avion é connesso a Barba proprio per un senso di diretta evoluzione legato all’espressione culturale dominante francese dell’epoca.
Leonardo da Vinci, rappresentato iconograficamente come un vecchietto dalla lunga barba bianca, visse in Francia nella parte finale della sua vita e sviluppo’anche dei bozzetti legati al volo: delle vere e proprie ali.
Si é parlato però di Barba come un saggio e non come un intellettuale rivoluzionario, giusto? Come fanno quindi queste due caratteristiche apparentemente antitetiche e inconciliabili a stare assieme? La risposta é in realtà semplice: Ueda si é concentrato in maniera ampia e rilevantissima sull’evoluzione in linea generale in questo gioco, quindi l’espediente di Leonardo é solo funzionale per spiegare un periodo storico ed evolutivo dell’umanità e degli animali a livello generalizzato e non le qualità del colosso anziano in maniera specifica, particolare, che non hanno alcun collegamento all’intelligenza e quindi al concetto di inventore. Il riferimento va dunque a rafforzare la questione evolutiva generale e storica, il tardo medioevo, in questo caso, in cui Leonardo é anche vissuto e nient’altro.
Nel periodo tardo medievale, legato a Barba e Avion, e diretta conseguenza dei pienamente medievali Gaius e Phaedra, quindi, si ha a disposizione legame evolutivo di coppia uomo-animale che viene sintetizzato in un cambio dal leggero cavallo allo smilzo uccello e dal maturo cavaliere all’anziano uomo semplice. Con ovvio legame rafforzato tra i primi due grazie ai bozzetti fatti da Leonardo rappresentanti delle ali per volare e all’iconografia del genio che é rappresentato spesso con un vecchietto dalla lunga barba.
Oltretutto i terreni di scontro dei due vanno a compattare quello che é il periodo tardo medievale che praticamente chiude il medioevo, dato che le strutture umane in maniera diretta praticamente aumentano molto nell’ambiente fino a formare l’imponente struttura sotterranea in cui é rinchiuso Barba. E’interessante, inoltre, come le tante gallerie sotterranee con vari sbocchi sul terreno, si traducano nell’arena di Avion come tante strutture umane sparse sull’acqua da cui sparare al volatile.
Un periodo di chiusura sottolineato ancora, se ce ne fosse bisogno, dall’avvento di Hydrus che a livello evoluzionistico viene prima di creature adatte a calpestare la terra, rappresentando anche una battuta d’arresto nell’evoluzione, di estinzione della specie precedente, di fine di un periodo che ha toccato il picco più alto raggiungibile (guarda caso rappresentabile dalla vecchiaia e dal volo) . Battuta d’arresto che si rafforza tramite il fatto che dopo Hydrus stesso si succederanno solo e soltanto colossi animali per lungo tempo (non escludendo il periodo ascetico, comunque, che si rifà sempre a una battuta di arresto di riflessione) prima dell’avvento di un nuovo colosso umanoide.
Un oblio da cui non fuggire ma da attendere e osservare con pazienza e capillare analisi per capirne tutte le sfaccettature, in modo tale da riuscire nella maniera più organica possibile a smistare e catalogare tutto ciò che era ed é presente nella testa dell’autore Ueda e in quella di chi, come Blue Point ne ha curato il remake in oggetto.
Sette colossi animali verranno quindi dopo Hydrus. Una settimana di colossi che provano ad andare avanti, per la loro strada. Una settimana di colossi che vi rimanda, dunque alla prossima puntata di Art Avenue, alla fine di questi sette giorni. Come? Non ve l’aspettavate?
Eppure dovevate aver già capito che questo approfondimento non ha proprio nulla di scontato e privo di sorprese. E poi il sottotitolo “Trascendenza divisa” risultava già un indizio.
Come si dice in questi casi? Alla prossima puntata? No, credo di no, sarebbe forse davvero troppo scontato. Oppure diverrebbe prevedibile visto l’utilizzo e forse abuso di già tanti colpi di teatro? Ci penserò su, ma quello che sarà…non sarà sicuramente, quasi per prassi, così scontato.