“I’m the One, the only One. I’m the god of Kingdom come! Gimme the Price! Just gimme the Price!”. Così cantavano i Queen in uno dei loro tanti fortunatissimi singoli e così cantavo anche io dopo essere riuscito, non senza fatica, a raggiungere il finale di Dark Souls III, mio primo souls in assoluto e anche, come per molti, una delle esperienze più scioccanti e allo stesso tempo gratificanti che possono capitare nella carriera di un videogiocatore.
Mancava qualcosa, però, a quel titolo, qualche particolare che faceva la differenza tra un capolavoro e una comunque grande esperienza. Il gioco presentava paesaggi molto variegati e ben costruiti a cui mancava però un po’ di personalità; le battaglie, spesso totalmente concernenti la schivata e l’attacco da parte del giocatore, risultavano un po’ ripetitive nel tempo e la possibilità di potenziare abbastanza agevolmente, fino a +11, la propria arma fidata, per paura di incorrere in superflue e fastidiose morti, limitava molto la prova di altre armi con altri moveset, aumentando ancora la ripetitività dell’azione.
Mi ero promesso, quindi, all’epoca, di aver terminato la mia esperienza con i souls, dato il grande stress che l’avventura mi aveva causato. Un anno dopo, però, richiamato da occulte forze oscure e avendoci dunque ripensato su, rieccomi la, sul luogo del misfatto, incentivato oltremodo dalla voglia di confrontarmi con il capitolo della serie che ha acceso la fiamma della leggenda: il primo Dark Souls; a detta di molti, il migliore della serie.
LE CARE MURA DI LORDRAN
Non dissimilmente dal terzo capitolo, Dark Souls si muove su binari estetici classici legati al gotico medievale di matrice corrotta, con location ben diversificate e costruite che non restituiscono però un quid distintivo e personale che avrebbe sicuramente fatto la differenza in termini di resa visiva, similmente al suo secondo sequel.
Ad ogni modo, la varietà delle suddette, come annunciato, è enorme, ed è molto funzionale in tanti casi come disparate aree siano state disegnate attentamente per farle risultare le interconnesse componenti di un grande mondo. Un ottimo esempio in questo senso risulta essere il trio formato dalla Città infame, la Valle dei draghi e il Giardino Radiceoscura, dove, senza rivelare troppo, si ravvisa l’interconnessione mano a mano che ci si passa attraverso. Abbiamo dunque una natura che da rigogliosa diventa spoglia e che sull’epilogo di dove è riuscita a mettere radici rivela una caverna con all’interno la cittadina. Semplicemente fantastico.
FromSoftware , lo sviluppatore del titolo e il director Hidetaka Miyazaki però hanno avuto il tempo anche di collegare i propri livelli in maniera addirittura più raffinata, come accade per città di Anor Londo, baciata dal sole e dai colori caldi e il mondo di Araimis, che gli succede subdolamente subito dopo e che presenta all’opposto colori freddi e un ambiente rigido. Purtroppo, ahimè, c’è da segnalare in tanta cura qualche interconnessione non propriamente ispirata e azzardata tra una zona e l’altra, ma si tratta davvero di poca cosa a fronte della gran mole di lavoro ben fatto che ci si trova dinnanzi.
Sulla stessa falsariga della grande varietà sicuramente molto curata ma non perfetta, si muovono anche i vari abomini che popolano Lordran. Tra scheletri, serpentoni antropomorfi, agili assassini, vermoni, , fantasmi, cavalieri armati di tutto punto, ragni e cani demoniaci ce n’è davvero per tutti i gusti. Gli stessi inoltre risultano perfettamente contestualizzati in larga parte alle zone che sono deputati a pattugliare, arricchendo bene il messaggio visivo pur non stupendo per originalità.
Nonostante la poca fantasia, direi che sono da lodare oltremodo le movenze di personaggi e nemici, realizzate artigianalmente e senza motion capture all’epoca della realizzazione del gioco, che pur nella loro parziale legnosità risultano soddisfacenti. Le fonti di luce dinamica in Lordran invece sono quasi del tutto assenti, ma assistite egregiamente da un’attenzione nel tratteggiare zone d’ombra e illuminate da non farne sentire totalmente la mancanza.
Grande cura nella diversificazione e attenzione al dettaglio infine è stata posta anche nelle varie armature, vesti e armi rinvenibili qua e là per il mondo esplorabile, combinabili a piacimento oltretutto tra di loro per restituire un personaggio protagonista il più personalizzato possibile in base alle proprie affinità. Passando ad altri aspetti meramente tecnici invece il gioco non brilla certo particolarmente per complessità poligonale, ma il fascino azzeccato dei vari anfratti, e paesaggi visitabili ne copre egregiamente le mancanze.
In definitiva, è bello e gratificante andare in giro per le terre maledette di Dark Souls e l’atmosfera plumbea e oscura del titolo restituiscono un ottimo senso di epica cavalleresca medievale oscura. Peccato dunque solo per la fantasia delle creature incontrabili e luoghi visitabili, che con un grado di creatività maggiore avrebbero fatto arrivare il titolo al capolavoro grafico.
TIENI, E’ PERICOLOSO LA’ FUORI!
Le terre dei “souls” sono piene di avversità letali, lo sappiamo e anche Dark Souls ovviamente non è da meno: ogni nemico, dal più grande al più piccolo, se l’approccio alle battaglie non risulta prudente e oculato, può causare un numero vertiginoso di morti che possono causare l’assunzione reiterata nel tempo di un quantitativo abnorme di malox, oltre che notti insonni e piene di incubi nel caso si riuscisse a prendere sonno. Questo è il primo aspetto fondamentale legato al titolo che lo rende così affascinante: un livello di sfida elevato, contestualizzato in un coerente medioevo violento, collegato idealmente all’epica di un epoca piena di cavalieri erranti. Un mondo oscuro dove superare molte avversità, dopo i tanti giochi dalla curva di difficoltà non soddisfacente degli ultimi due lustri.
Ad aiutarci a fronteggiarle, però, ci pensano le utili fiaschette estus, dai sorsi inizialmente molto limitati e che spronano il giocatore a non sprecarne e stare attento alle battaglie, ,un battle system ottimo, e un meccanismo unificato alle basi del moveset dei nemici, che ne decreta la fruibilità molto ampia a livello di pubblico come tipologia di gioco in un domino ben strutturato. Tutte le tre caratteristiche elencate, insomma, costituiscono un solido domino dove reintegrare la propria energia e conservare le fiaschette, pur essendo minacciate da dei nemici letali, sono coadiuvate da un ottimo battle system e da dei pattern avversari dalla curva di apprendimento molto abbordabile.
Ampliando la spiegazione di quest’ultimo punto, molte delle movenze dei nemici si ispirano a movimenti d’attacco reali, come i salti in avanti dei cani, e si ricordano tra di loro, aiutando il videogiocatore a non doversi sforzare troppo ad impararne di nuovi di sana pianta.
Tutto ciò quindi, a patto che si siano aumentate anche le proprie statistiche mano a mano, non porta al panico di essere colpito letalmente a sorpresa, o comunque ad essere molto danneggiati la maggior parte delle volte da un moveset particolare che non si ricorda come affrontare. Un iter, quest’ultimo, che fa mantenere una certa tranquillità di base per ogni nemico incontrato grazie ai collaudati e sicuri sistemi di difesa per quasi ogni occasione quali rotolata, parata, e parry . FromSoftware. nonostante ciò, non si è fatta fagocitare da questo rigido metodo di difesa di base, inserendo moderatamente qua e là qualche sorpresa come nel caso del moveset dei temibili mimic, delle improvvise imboscate, grazie a nemici ben piazzati nella mappa e dei colpi a tradimento di avversari lontani e difficili da raggiungere nel corso di un combattimento. Detto della difesa, l’attacco risulta una naturale conseguenza, visto che ogni parry, rotolata ben piazzata e parata con lo scudo lascia aperta la guardia dei nemici, che possono essere tranquillamente trafitti.
Le più grandi difficoltà e fonti di stress del gioco derivano invece da un’attenzione totale da riservare allo studio delle varie ambientazioni, dove i nemici sono piazzati davvero bene e dove é facile cadere in un imboscata, se non si é particolarmente concentrati (un livello di concentrazione che va in diretta antitesi con quello dei videogiocatori di oggi, rendendogli l’esperienza ardua) e dal rigido ripetersi degli attacchi sicuri da eseguire a grandi linee per non farsi colpire.
Una fonte di stress, quest’ultima, dato che ogni libertà sperimentale é potenzialmente punibile con danni importanti al personaggio che si controlla. Magari scatenando l’ennesima morte.
Facendo un passo indietro, un primo difetto del battle system è l’aggiramento un po’ troppo semplice dei nemici, culminante nel famigerato colpo alle spalle o backstab per gli amici. Una tattica smorzata oltre che dal già citato ottimo piazzamento nelle mappe degli avversari, anche alla meno peggio da salti all’indietro e rotolate eseguibili dai medesimi. Un po’ fastidiose inoltre risultano, sempre durante gli scontri, anche le compenetrazioni poligonali delle armi dei nemici con vari muri ed ostacoli. Un difetto che, ad ogni modo, è possibile bypassare ricordandosene dopo i primi infelici episodi in cui lo si è incontrato.
Sempre in tema di difetti, lo stesso sistema di battaglia soffre di un agganciamento ballerino rivedibile, che sembra letteralmente “dotato di vita propria“. Non mancherà di passare, infatti, in presenza di più nemici, da un obiettivo all’altro senza alcun tipo di preavviso. non risultando molto comodo. Il mio consiglio personale, dunque, è disattivarlo nelle situazioni dove si presentano più nemici e attivarlo invece con i boss singoli, dove non ci sarà alcun problema o quasi di sganciamento non preventivato. Un quasi che deriva dalla troppa distanza accumulata dal boss di turno, che farà disattivare il lock-on automaticamente
Per quanto concerne le armi da potenziare, il gioco mette a disposizione diversi fabbri e diversi item speciali e più comuni per poterle far evolvere, aiutando ad aumentare i punti danno nei confronti dei nemici ad ogni colpo. Il punto vero di interesse però risiede soprattutto nei materiali da recuperare per poterle fortificare: bisognerà imparare a riconoscere chi rilascia un certo tipo di titanite o un certo tizzone divino per poter proseguire agevolmente nel potenziamento. Un particolare che risulta fondamentale e non troppo lineare per variare le armi da utilizzare durante le battaglie da affrontare a Lordran, corroborato, più dettagliatamente, dal fatto che ci si può anche scordare nel tempo la strada per una certa location preposta ai potenziamenti. Situazione di gioco che, tramite nuove ricerche del suddetto obiettivo perduto, aumenta la longevità generale.
Arrivando al sistema di crescita del personaggio, alimentabile grazie alla raccolta di anime dai non morti, c’è un’imperscrutabilità di base di diverse caratteristiche dedicategli che aumentano la difficoltà di approccio al titolo e che si devono sperimentare direttamente sul campo per essere scoperte negli effetti. Lodevole nell’ambito la gestione dell’energia vitale e soprattutto della barra della stamina, organizzate, senza svelare troppo, in modo tale da non favorire un approccio troppo facilone alle battaglie.
La faciloneria è stata eliminata anche da certe classi, selezionabili all’inizio dell’avventura per delineare il proprio personaggio, come il piromante e il mago, che per un buona porzione di gioco dovranno avvalersi anche del combattimento corpo a corpo, visto che le statistiche di velocità di lancio dei vari artifici non saranno sufficientemente alte per potersi avvalere di un decisamente più rassicurante combattimento a distanza con una grossa fetta di nemici.
Una menzione speciale meritano i boss di questo gioco, che in un ambiente con un combat system nemico di base molto riconoscibile in cui sono incorporati, risultano francamente davvero ben diversificati tra di loro, oltre che essere davvero tanti. Il mio pensiero va in questo caso agli enigmi della dama di Ariamis, alle fasi “Platform” e a “punti d’interesse” per sconfiggere “La culla del caos”, all’importantissima modalità d’annientamento dei fastidiosissimi scheletri del Signore dei non morti, al segreto del Demone Capra, e per concludere alla battaglia indirizzata al parry con un boss cruciale per la narrativa.
L’armamentario per affrontare i vari signori del labirinto, così come le armature, inoltre, potrebbero anche risultare inaspettatamente decisivi. Tutte caratteristiche che nel secondo sequel del gioco, Dark Souls III, per facilitare probabilmente le cose all’utenza, sono state abbastanza ammorbidite, facendo cadere le battaglie in una sensibile monotonia da continuo incontro vertente unicamente verso il cappa e spada.
Volendo parlare delle quest secondarie del titolo, risultano carine, coinvolgendo anche oggetti importanti durante l’avventura, come la pietra evocatrice spiriti di personaggi secondari, come il buon Solaire e di altri giocatori. Questa particolarità ci introduce al particolare multiplayer di gioco. Tramite diverse pietre speciali raccolte, infatti, si possono compiere le seguenti azioni, che in ordine sono: 1) Lasciare messaggi sul terreno per avvertire gli altri giocatori connessi di un pericolo o di un tesoro, o per farsi semplicemente beffa di loro 2) Invadere il mondo di un altro giocatore per potergli rubare tutte le anime dopo averlo ucciso 3) Invocare un altro player per sfidarlo a duello e 4) Richiamare altri giocatori per farsi aiutare per affrontare una zona troppo ostica o affrontare boss troppo complicati. Per quest’ultima opzione trova un suo senso dover affrontare dei boss doppi durante l’avventura, che una volta sconfitti in cooperativa perché troppo ardui in singolo, aiutano a sviluppare il senso del valore dello spirito di squadra. Un peccato in appendice, si rivela invece la connessione dei server, che non sempre rispondono come dovrebbero, minando un po’ l’esperienza online.
Avviandoci verso il prossimo falò di questa recensione, non si può non parlare del level design delle mappe, semplicemente perfetto, dove segreti e oggetti ben dislocati spingono ad esplorarle in lungo e in largo e dove varie scorciatoie, una volta sbloccate, portano a punti di ristoro spesso molto vicini al boss di turno, i Bonfire, a loro volta chirurgicamente ben piazzati e recanti una vera sensazione di pausa dopo delle ostiche battaglie.
UNA NARRATIVA SILENZIOSA
Uno degli aspetti più apprezzati di Dark Souls dalla comunità di appassionati è sicuramente la Lore: la narrazione del mondo di gioco. Una narrazione raccontata “sileziosamente” e indirettamente tramite oggetti, personaggi non giocanti e le loro quest secondarie, armi e descrizioni che vanno a formare quello che è un grande mondo in cui immergersi. Peccato però che anche questa volta mi sia fatto fagocitare dall’avventura in se per se, senza dare troppa importanza alle descrizioni degli oggetti. Questa particolarità potrebbe però rivelare un insospettabile colpo di furbizia per quanto riguarda la produzione, direttamente legato al new game plus, la partita con difficoltà aggiornate, che lascia comunque oggetti raccolti e livelli ottenuti intatti pur facendo ricominciare il gioco da capo.
La mia teoria è che una volta che il gioco viene ricominciato con un livello molto alto e una conoscenza del mondo di Lordran approfondita, si possa iniziare a rilassarsi sul serio dando spazio alla lore.
Ovviamente si tratta di un’ipotesi da verificare, quindi il titolo, per le ore che mi ha tenuto impegnato non è riuscito a farmi interessare alla narrazione silenziosa proposta, non arrivando a centrare, almeno per l’occasione, il bersaglio. In caso, se durante una seconda run, ci si potesse concentrare davvero sulla storia del mondo di Lordran, il titolo avrebbe una rigiocabilità davvvero notevole.
DONG…DONG…DONG!
Ed eccoci arrivati al comparto sonoro del titolo. Intelligentemente, intanto, FromSoftware ha evitato accuratamente di inserire musiche durante l’avventura, che si ritrovano, per esempio, in zone particolarmente tranquille come la location del Sigillo del Fuoco oppure durante le boss fight, agevolate dallo svolgersi in arene delimitate dove risulta relativo il dover ascoltare i passi lontani di qualcuno che si avvicina. In ogni caso le stesse musiche inserite si articolano in linea generale coerentemente nel volume dei decibel prodotti in base a quanto rumore possono produrre i boss già solo con i propri passi.
Data la grande difficoltà del gioco, quindi e la necessità di drizzare le orecchie per avvertire i passi lontani di un cavaliere che si avvicina, penso che lo sviluppatore abbia optato per una scelta più che condivisibile nella dislocazione delle musiche. Le stesse, ad ogni modo, risultano ora epiche, ora calme al punto giusto, alternando canti gregoriani a minimali composizioni al piano che risultano azzeccate nella maggioranza dei casi.
La campionatura dei suoni ambientali invece risulta perfetta, con urli, strepitii, ruggiti, passi metallici e così via. I suoni delle collisioni, così come ogni set di personaggi sembra avere dei suoni accuratamente scelti che ne descrivono il peso, la possanza e il materiale di cui sono fatti.
In definitiva Dark Souls è un titolo che raggiunge quasi il capolavoro, collocandosi un gradino sopra al suo secondo sequel. L’avventura sprizza epicità da tutti i pori, risultando molto curata nei dettagli e davvero, in quanto esperienza di una certa difficoltà, ben diversificata e aperta a una mole impressionante di videogiocatori grazie all’impostazione delle sue battaglie. Un must have più che per i videogiocatori esperti e hardcore, soprattutto per i gamers nella media che vogliono provare l’ebbrezza di sentirsi dei veri dei di un nuovo regno.