Quando tra le caratteristiche di un videogioco viene sottolineato dagli sviluppatori stessi che si tratta di un mix tra Gris e Monument Valley è impossibile non esserne incuriositi. Incuriositi ma anche intimoriti, per il fatto che un simile paragone possa essere un filo esagerato. Etherborn, in uscita oggi su PC, PlayStation 4, Xbox One e Switch, è il primo titolo nato dal fondo Disney/20th Century Fox dedicato agli indie games, sviluppato da Altered Matter. Si tratta in sostanza di un puzzle platform basato su interessanti giochi di prospettiva e di gravità. Questo si traduce in un lavoro di level design davvero molto intrigante e complesso, nonostante la relativa brevità dell’esperienza.
Chi sono, chi siamo?
Etherborn narra allo stesso tempo una storia collettiva e individuale. È un viaggio onirico, che si pone alcune questioni fondamentali sulla natura umana, ma che giunge infine a porre una semplice domanda al giocatore: chi sei? Il personaggio protagonista è volutamente anonimo: una semplice figura muta, senza tratti somatici, di cui possiamo vedere in trasparenza le “radici” interiori. Termine che non ho scelto a caso, dato che quello che potremmo definire, in modo forse un po’ riduttivo, l’hub di gioco è un enorme albero con una miriade di ramificazioni.
Non c’è una vera risposta alle domande che vengono poste dalla voce narrante (la nostra voce? I nostri pensieri?), che racconta una storia di un’umanità perduta a causa della propria avidità, che poi si ritrova in una sorta di ciclo infinito, di cui siamo parte inconsapevole. Ma i luoghi in cui ci troviamo non sono “reali”, potremmo definirli luoghi di ricerca della nostra mente? Forse, un po’ come succede nella “simulazione” di The Talos Principle.
Ricerca
Ma l’uomo non si stancherà mai della ricerca della verità e così ci ritroviamo a salire il tronco di questo albero, che ci porterà alla scoperta di diversi livelli in cui dovremo superare degli intriganti puzzle ambientali basati su alcuni principi di gravità e cambio di piano d’appoggio. I “livelli” sono in totale cinque, ognuno diverso dall’altro e con uno stile peculiare, ispirato al surrealismo del XX-XXI secolo. I giochi di gravità, ad esempio, ricordano in parte i “giochi impossibili” di Escher, traslati anch’essi in esperienza videoludica in The Bridge di Ty Taylor e Mario Castañeda.
L’obiettivo nei vari livelli è quello di riuscire a raccogliere delle speciali “sfere luminose”, che ci permetteranno di sbloccare alcune piattaforme o modificare alcune parti del livello (in questo, il gioco ricorda in parte l’acclamato Gris). La peculiarità però dei rompicapi è che questi sono basati non solo sul platforming, ma anche e soprattutto sui piani di appoggio che cambiano in continuazione e sulla gravità relativa. Non sarà così semplice dunque raggiungere un luogo che sembra essere così vicino, poiché richiederà numerosi passaggi ragionati. Il creative designer si è messo di impegno per far scervellare i giocatori, con un livello di sfida davvero appagante, che premia chi più saprà insistere e ragionare con attenzione prendendo in considerazione tutti i dettagli dell’ambientazione. Posso sbilanciarmi affermando che alcune soluzioni rasentano davvero la genialità, nel loro essere originali e quasi imprevedibili.
Un level design quindi molto riuscito, che non annoia mai e anzi è in grado di sorprendere piacevolmente, in un panorama, quello dei titoli puzzle platform, in cui non è semplice innovare e catturare i giocatori.
Sogno o realtà
Il particolare desing rende quindi l’esperienza di Etherborn, come abbiamo già detto, un vero e proprio viaggio onirico ed emozionante che può essere (e forse addirittura deve essere) percorso tutto d’un fiato. Per completare il gioco la prima volta infatti non saranno necessarie più di 2 o 3 ore – a seconda della vostra abilità a comprendere le ambientazioni e a risolvere i puzzle. L’eccellente direzione artistica vi saprà trasportare all’interno di Etherborn catturandovi con i colori, le luci, i suoni e la bellissima musica, rendendovi difficile la decisione di staccarvi temporaneamente per ritornare alla realtà. Tutto, nel prodotto di Altered Matter, funziona alla perfezione, a parte qualche piccolo momento critico relativo ai controlli in alcuni punti, e tutto è amalgamato in modo equilibrato.
Ci sono numerosi rimandi in Etherborn ad altri prodotti dello stesso genere, come il già citato Gris. Tuttavia il gioco mantiene la sua originalità e, nonostante il paragone piuttosto importante, non sfigura nemmeno davanti al capolavoro di Nomada Studio.
Davanti ad un prodotto del genere, confesso di trovare quasi superfluo parlare del lato tecnico. Se proprio però vogliamo entrare un po’ nello specifico, si può dire che – nella versione Xbox One da me testata – non sono riscontrabili problemi di sorta, né per quanto riguarda il framerate – sempre fisso e fluido – né per quanto riguarda altri elementi. Dell’audio abbiamo già parlato, tessendone le lodi, così come degli effetti di luce e della resa grafica incredibilmente affascinante, seppur non dettagliata. Non è un gioco né pesante né realistico, quindi si tratta di lati su cui gli sviluppatori possono lavorare agilmente.
Oltre la fine
Quando sono giunta al termine del gioco (dopo poco più di 2 ore) già stavo iniziando a pensare di inserire tra i suoi difetti la scarsa longevità. Sono stata però colta in contropiede, con l’apparsa di una schermata che mi annunciava lo sblocco della modalità Partita+. Ebbene sì, Altered Matter ci ha pensato alla relativa brevità del gioco e ha inserito questa interessantissima possibilità di ricominciare il gioco con sì gli stessi livelli, ma con le sfere di luce posizionate in luoghi più difficili da scovare e da raggiungere. Una sfida in più al giocatore quindi, che risulta raddoppiare o anche di più (vista la maggiore difficoltà) il tempo di gioco totale.
La possibilità di inserire un’opzione del genere evidenzia ancor di più l’ottimo lavoro svolto in fase di level design, permettendo dunque di variare i livelli in diversi modi.
Conoscenza
Etherborn, nella sua poca concretezza, vuole raccontarci una storia di ricerca di sé e delle radici (non a caso) della propria esistenza. Ma è anche una ricerca collettiva, delle radici di un’umanità che sembra ormai perduta. E ci dice, in questo modo, che non siamo soli in questo viaggio. Il nostro albero è circondato da moltissimi altri alberi, che per comunicare non devono fare altro che allungare le radici.
L’opera di Altered Matters è un’esperienza ludica che mi sento di consigliare a tutti, perché saprà regalarvi qualcosa, a prescindere dal punto in cui siete del vostro viaggio di ricerca.
Versione provata: Xbox One