E’ una lotta contro un dio quella che ci propone Hellblade: Senua’s Sacrifice, coraggioso titolo “indie tripla A” portato avanti per ben tre anni dal team britannico Ninja Theory prima dell’uscita nei negozi. Un titolo duro nelle tematiche, graffiante, dove per riuscire a fronteggiare la minaccia divina rappresentata da una creatura luciferina materializzata dalla mente, più si fa squadra e più si riesce ad arrivarne a capo. Ho quindi deciso di intraprendere il viaggio verso la redenzione della celtica Senua, insieme al nostro Andrea, grande amante di odissee dal tono gotico e alternativo.
Dopo aver parlato attentamente del titolo nelle sue varie sfaccettature e trovandoci d’accordo su molti punti, con i nervi ben corazzati, ci siamo imbarcati su una canoa malmessa per farvi scoprire quanto un videogioco possa spingersi oltre nel trattare argomenti tabù come la psicosi umana e soprattutto per farvi capire se il team di sviluppo con a capo Tameen Antoniades abbia fatto centro nel creare un importante precedente con un titolo dalla tecnica rilevante ma supportato da un budget abbordabile rispetto ai soliti kolossal dell’industria dell’intrattenimento interattivo.
IL SOPRAVVENTO
La trama di Hellblade è quanto di più lineare si possa immaginare: la protagonista é una giovane guerriera che, per salvare il suo grande amore dalle spire della morte, si avventura nelle profondità degli inferi vichinghi (Hel), facendosi carico di tutte le fatiche e le raccapriccianti conseguenze che tale impresa possa comportare. La ragazza però non è sola, perché ad accompagnarla nella tortuosa scoperta delle viscere tumultuose di un regno a cui nessuno anelerebbe, ci sono delle voci, a volte vibranti, a volte irridenti, e delle visioni distorte e raccapriccianti, trasmesse da un sontuoso audio, che lei crede reali ma che in realtà sono un parto della sua mente. La realtà con cui si va a confrontare Senua è quella di una malata di psicosi, un dio demoniaco che tramite le allucinazioni audiovisive, che si mischiano con la realtà, crea sgomento, paura e frustrazione.
In questa orgia di suoni e immagini di riferimento che a volte prendono il sopravvento nella psiche della nostra guerriera, ci si muove in una trama che nella sua esile semplicità, più che raccontare, vuole far vivere una vera e propria esperienza allucinatoria tramite il comparto tecnico, riuscendoci bene ma rimanendo pur sempre nel proprio seminato.
Forse un po’ per reticenza nel calcare troppo la mano con un gioco dal format rischioso di suo, e un po’ per creare un’ effettistica destabilizzante commestibile da tutti, ci si abbandona durante il peregrinare da una zona all’altra, a risposte audio/video che per chi conosce un po’ il cinema o abbia avuto esperienze in parchi divertimenti, risultano tutto sommato ben fatte ma non così sensazionali sul lungo termine. Input che, pur stupendo all’inizio perché rari o mai visti in un videogioco, con l’aumentare del minutaggio si ritrovano a mancare di quella fantasia stupefacente ed essenziale per rendere l’esperienza persistentemente disturbante in maniera degna per tutte le sei ore di gioco che si devono affrontare per terminare la partita.
Per fare un esempio calzante e dovuto, di faccioni lampeggianti a schermo ne abbiamo avuti fin dal 1972 con l’Esorcista e forse anche prima nella cinematografia, e per quanto possano essere magari molto inerenti a quello che può essere il disturbo trattato durante la narrativa, questo lascia in parte un po’ perplessi una volta passate un paio d’ore d’avanti allo schermo per il loro essere già visti
Non essendo quindi troppo convinti dagli artifici visivi per intimorire o causare stati ansiogeni, si cerca nel tempo, naturalmente, gli stessi stati in maniera prioritaria nella costruzione degli ambienti e dell’espressività della protagonista. Il lavoro nell’ambito risulta eccellente grazie soprattutto a un elemento inaspettato e gradevolissimo. Ma proseguiamo con ordine.
Per cominciare, quello che è più gradevole e davvero raffinato nella costruzione degli ambienti è l’omogeneità e l’agilità con cui si riesce a passare da uno scenario all’altro, che a grandi linee traccia la disperazione crescente della protagonista durante l’epica. Si passa quindi da ambienti a cielo aperto, inizialmente spogli, come il fiume già citato all’inizio della nostra analisi, a villaggi in legno arsi dal fuoco, fino ad arrivare, sul finire a opprimenti profondità dove il cielo è sovrastato e dal materiale decisamente inaspettato ma comunque pesante e confacente al proprio compito, che non ho intenzione, per vostra fortuna, di rivelare.
Il tutto inoltre è condito da colori terrei durante le sezioni diurne che donano agli ambienti un’aria dorata comunque crepuscolare o tetra, le sezioni notturne, inoltre sono smorzate nei toni vividi del blu da scale di grigio che le allineano perfettamente a quanto visto di giorno.
Nella costruzione complessiva dell’atmosfera e qui io e Andrea ci siamo trovati più che d’accordo, però, spicca, oltre l’elemento oscuro di maggior rilievo, il motion capture del viso di Senua, che risulta quanto di meglio l’industria abbia da proporre per espressività, e dei racconti integrativi, collaterali, delle riflessioni esistenziali che riescono bene a trasmettere angoscia in più, contribuendo insieme alle già citate ambientazioni in parte dove gli effetti speciali audiovisivi non riescono ad arrivare, pur non riuscendo ad essere esaurienti fino in fondo, anche loro sul lungo corso, per una certa per abitudine al dramma da parte dell’utenza moderna e una mancanza di scene madri davvero scioccanti.
Ma qui arriva il colpo di teatro che contribuisce a mettere altra ansia in forno in maniera decisiva e ad affrontare le battaglie e le varie sessioni di gioco sempre con la dovuta attenzione. Il titolo infatti minaccia molto direttamente il videogiocatore, amalgamando bene trama e gameplay, di resettarsi completamente, cancellando il salvataggio della partita, al sopraggiungere di molte sconfitte.
L’avanzare di questa meccanica è descritta sapientemente da una sorta di marciume che sale dal braccio destro della protagonista che rappresenta perfettamente il male oscuro che la attanaglia. Una volta raggiunto la testa, infatti, lo stesso dovrebbe mettere fine permanentemente alla partita. Ergo è assolutamente obbligatorio cercare di farcela nella maniera più pulita possibile, sfidando ansie e magari nervi troppo incandescenti. Questo è assolutamente l’elemento che riesce a mantenere una attenzione alta per tutta l’avventura, dopo che le carte dell’effettistica e degli ambienti sono stati giocati.
Insomma, nell’ambito, pur non eccellendo a livelli assoluti, Hellblade è sicuramente un titolo che riesce a mantenere, con merito, con varie frecce al suo arco, una attenzione molto accentuata suoi riguardi.
QUANDO LA LUCE SQUARCIA LE TENEBRE
Abbiamo già accennato a quello che gli ambienti del titolo trasmettono tramite la loro composizione ed amalgama, ma quello che sorprende di più di Hellblade è la cura stupefacente del dettaglio grafico, delle movenze di personaggi e nemici e della sensazionale gestione delle luci dinamiche.
Intendiamoci, non mancano delle texture slavate, strategicamente posizionate e nascoste tramite giochi di luce, ma il risultato finale è straordinariamente eccellente oltre che un vero e proprio acchiappa utenza, che non potrà rimanere che stupefatta di quanto si possa fare bene tecnicamente un titolo anche con un budget ridotto.
Il team di sviluppo era talmente convinto, a ragione, del buon lavoro eseguito nell’ambito, da inserire addirittura una modalità fotografica per immortalare i vari scorci più suggestivi ravvisabili qua e là. E con certi paesaggi a disposizione, la tentazione di scattare qualche istantanea risulta più che giustificata.
Meno bene invece si presenta il lavoro di integrazione di modelli poligonali e attori reali durante certi filmati, che sembrano, se messi insieme, nonostante i filtri adottati, un lavoro di patchwork non molto ben compattato. Risulta comprensibile come un simile stratagemma sia funzionale per ridurre i costi, ma semplicemente, nella resa finale, non funziona come dovrebbe.
Passando alle movenze di tutto quello che c’è di animato durante il titolo, la cura è ugualmente eccellente, facendo risultare tutti i modelli su cui l’occhio si posa per più tempo, plastici e realistici. Se quindi non esiste una movenza molto ben articolata dell’acqua, di cui il titolo non si occupa moltissimo nelle meccaniche, o non c’è un andirivieni particolare del fogliame, dall’altra parte della barricata, le cariche e i balzi di certi nemici quadrupedi, dove sembra proprio che la muscolatura possente di cui sono dotati si muova in maniera armoniosa e fluida, sono tra i più convincenti mai visti in un videogame.
Ma sicuramente vorrete sapere più approfonditamente su come si muove il personaggio di Senua, dove, volendo trovare una sintesi efficace, l’aggettivo che più sovviene è: magnifica. Il suo modello quindi cambia passo, attraversa ostacoli ambientali, cade e si rialza con una fluidità e una naturalezza da vera e propria scuola di tecnica. Insomma, Ninja Theory in questo senso si è dimostrata la prima della classe e non si può fare nient’altro che applaudire per il lavoro faticosamente svolto durante tre anni di sviluppo.
UN FATICOSO AVANZARE
Hellblade, differentemente da molti titoli moderni aventi un personaggio protagonista guerriero, si articola invece nel centellinare nel tempo le battaglie con i vari nemici, proponendo una ampia serie di enigmi su cui ragionare per andare avanti. La base degli stessi, durante le soddisfacenti sei ore di gioco, che risultano tali grazie soprattutto all’atmosfera davvero dark del titolo, è legata ad illusioni, al riconoscimento di simboli nell’ambiente, all’ accensione di torce e fondamentalmente a una risoluzione abbastanza immediata e semplice.
La sensazione generalizzata, però, tenendo presente quanto si sia riposta una certa cura nel dislocarli attentamente nelle varie aree, cercando di variarli il più possibile, è quella di una ripetitività di fondo da “raschiamento del barile” che denuncia una certa mancanza di fantasia in più, utile ad alzare ancora la soglia dell’attenzione verso livelli qualitativi ancora migliori.
Nonostante tutto, però, riescono più che decentemente ad intrattenere nel loro valorizzare pertinentemente i vizi deputati a una mente instabile colpita da psicosi, stupendo gradevolmente in alcuni frangenti.
Un commento positivo merita anche il battle system del gioco, molto basilare, appagante su come lo si può utilizzare nella sua interezza con i nemici incontrati, visto che nel tempo sarà utile amministrarlo abbastanza strategicamente. Con pochi colpi si va giù al tappeto e quindi, se non si vuole morire molto spesso è utile capire bene quando attaccare e quando difendersi.
A renderlo più attraente, inoltre, ci pensano le collisioni e i movimenti dei modelli a schermo, che riescono a restituire pertinentemente la pesantezza alternata a leggerezza delle combinazioni effettuate che vanno a impattare di volta in volta.
Abbiamo quindi a disposizione un tasto per gli attacchi leggeri, un pulsante per quelli pesanti, uno deputato alla parata, un quarto alla schivata, un quinto dedicato alla corsa, un sesto allo sbilanciamento avversario e un ultimo inerente a uno speciale focus che rallenta gli attacchi nemici. Purtroppo, però, anche qua, nonostante la bontà di quanto descritto, sopraggiunge qualche difetto a smorzare quanto di buono proposto.
Il primo di questi è inerente a un sistema di battaglia dalla camera in terza persona troppo ravvicinata che se aiuta a entrare in empatia con la protagonista, in linea generale, impedisce una visuale ottimale nelle battaglie più affollate. In questo senso, le voci nella mente di Senua la aiuteranno a parare dei colpi non visibili a schermo, avvertendola tempestivamente, a un certo punto, ma a volte saranno davvero inevitabili certi colpi alle spalle.
Il secondo difetto risiede invece in una certa insofferenza nel voler scoprire meccaniche di scontro nuove da affrontare. Meccaniche possibilmente da utilizzare con nemici diversi da quelli affrontati fino a quel momento. Come avrete intuito, quindi, la varietà degli avversari nel titolo non lo aiuta a spiccare pur comunque riuscendo ad esaurire il proprio lavoro.
La tensione e l’ansia riescono inoltre a inficiare in maniera benefica il sistema di interazione molto limitato del titolo, visto che si sarà troppo impegnati a essere disturbati da tutti gli artifici messi in sesto da Ninja Theory, che andranno a catalizzare la nostra attenzione in maniera molto buona, rendendo questo limite non così percepibile.
E quindi eccoci arrivati all’epilogo di questo viaggio insieme. Prima di tutto vorrei ringraziare il mio collega Andrea che mi ha aiutato nella stesura di questa recensione a quattro mani con le sue opinioni pertinenti sul titolo, permettendomi di potervi illustrare ampiamente quello che ci si ritrova ad affrontare in questo esperimento: grazie. In secondo luogo, vorrei augurare, infine, un in bocca al lupo ai ragazzi di Ninja Theory, che seppur non sfornando un titolo perfetto, hanno lanciato di fatto un sasso nello stagno verso magari ulteriori operazioni di questo tipo. Un’operazione che arriva al momento giusto in un mercato tripla A troppo ingolfato da titoli poco fantasiosi che rischiano poco e nulla.