Per chi non lo sapesse, Hokuto Ga Gotoku è l’ultimo gioco dedicato alle avventure postatomiche di Ken Shiro, noto nel nostro paese con il nome di Ken il guerriero, popolarissimo personaggio di un manga e serie animata giapponese d’inizio anni ottanta. Purtroppo, e preferiamo sottolinearlo sin dalle primissime righe, questa è la recensione della VERSIONE GIAPPONESE del gioco, che abbiamo acquistato tramite il mercato d’importazione parallela. Al momento, tale versione, oltre a quella sottotitolata in CINESE, è l’UNICA esistente, e conseguentemente disponibile, sul mercato. Purtroppo, al momento, non è stata fornita alcuna indicazione circa un’eventuale pubblicazione per il mercato occidentale. Attualmente, per quanto ci appaia totalmente incomprensibile, la situazione è esattamente questa e, anche in ragione di ciò, si è optato acquistare una copia del gioco in versione, appunto, giapponese.
Solo con gli occhi a mandorla: prendere o lasciare
Per chi fosse interessato all’acquisto, si precisa che il titolo in questione è region free e pertanto completamente compatibile con tutte le Playstation 4 del pianeta. Ad essere bloccati sono il gioco online e tutti i DLC, i cui codici sono validi solo per account PSN giapponesi. Armiamoci dunque di tanta pazienza – ed incoscienza – e, fiduciosi negli aiutini che si possono trovare oggi in rete, imbarchiamoci nell’impresa di partire a giocare ad Hokuto Ga Gotoku.
D’altronde, per chi è un po’ più avanti negli anni, giocare a titoli in lingua giapponese non è certo una novità. Anni, decenni or sono, per giocare ad alcune produzioni su Super Famicom, Mega Drive e PC Engine, si doveva accettare necessariamente di andare alla cieca, con gli incomprensibili ideogrammi giapponesi che ci facevano compagnia dall’inizio alla fine del gioco. Essenziale era il saper andare per tentativi, o per intuizione. Queste abilità sono ampiamente richieste tutt’ora, con l’aggravante che i giochi sono sempre più complessi (= incasinati).
Qualche ricordo
I giochi dedicati a Ken Shiro sono stati innumerevoli, qui desidero citarne soltanto alcuni, tra i più vecchi, il cui ricordo, per un motivo o per l’altro, nel bene o nel male, resta ancora molto vivido nella mia memoria. Il “primo contatto” con un gioco di Ken fu, senza che lo sapessi al momento dell’acquisto, con un titolo per Sega Master System di nome Black Belt. Nonostante il protagonista indossasse il più classico dei Keikogi di Karate, una volta iniziato a giocare era evidente che fosse una trasposizione di Ken il guerriero.
Gli avversari, dopotutto il Master System era un 8 bit, andavano “in pezzi” una volta colpiti ed i mid level boss richiamavano perfettamente quelli del manga. Di contro i boss, distribuiti su un totale di sei livelli se non ricordo male, non ricalcavano perfettamente quelli della serie animata, ma diversi riferimenti erano comunque perfettamente evidenti. Ricordo ancora un lottatore di Sumo al terzo livello, che poco o nulla aveva a che fare con il mondo di Ken il guerriero. Diversamente erano riconoscibilissimi Shin, Jagger e Raoul. Il titolo assieme a Rastan, fu indubbiamente uno dei miei giochi preferiti, e più giocabili, per quella piattaforma. Moltissimo tempo dopo scoprii che il titolo non era semplicemente un volgare scopiazzo, ma il porting occidentale del vero gioco di Ken, modificato probabilmente per questioni di licenza. A spanne, correva l’anno 1987.
In viaggio verso il presente
Con il Mega Drive arrivò, anche in questo caso in versione occidentale, Last Battle che ripercorreva la seconda serie del cartone animato, quando Ken ha a che fare con l’imperiale scuola di Cento e successivamente, sbarca nella terra dei Demoni. Gravissima la censura dei nemici che, anziché esplodere una volta colpiti, volavano letteralmente fuori dallo schermo. Il gioco, a parte questo tipo di problemi, era abbastanza valido ed i combattimenti con i boss erano decisamente fedeli agli scontri raccontati nel manga.
In ultimo ricordiamo i numerosi quanto pessimi picchiaduro uno contro uno su super Nintendo. Animazioni pessime, pochissima varietà nei personaggi giocabili, sonoro gracchiante e fondali scarni ed approssimativi. Praticamente un compendio di tutti i difetti che un titolo di quel genere può avere. Infine cito un gioco per PS3, piuttosto scialbo, appartenente al filone dei mousou. Per chi non fosse avvezzo questo termine, con esso viene semplicemente indicato un genere, popolare solo in Giappone, nel quale un protagonista, dotato di capacità ben al di sopra dei propri avversari, si trova a combattere orde su orde di nemici, destinati a venire abbattuti in massa.
Hokuto Ga Gotoku è invece stato implementato come un action/adventure in semi freeroaming. Scelta che lo renderebbe ancor più appetibile ad un mercato occidentale… incrociamo le dita e auguriamoci che sia solo una questione di tempo.
Japanese people do it better (il package, ovviamente)
Spendere qualche parola per descrivere la copertina è assolutamente doveroso. Quando il mercato dei videogames non era ancora così importante in Italia, era pratica diffusa acquistare titoli d’importazione parallela. Da sempre ritengo che i giapponeri sappiano confezionare molto meglio i loro prodotti rispetto alle software house occidentali. Hokuto Ga Gotoku non fa eccezione, avendo in copertina un illustrazione, quasi completamente in bianco e nero, di Ken che sorregge Julia. Una scelta che richiama chiaramente il tratto del manga. I titoli ed i rimanenti elementi della copertina sono in rosso e blu vivissimi: il risultato è una confezione riconoscibile anche da lontno, anche su un espositore pieno di altri titoli.
Altra ottima consuetudine giapponese è quella di (continuare) ad allegare un manuale d’istruzioni, sempre rigorosamente a colori. Hokuto Ga Gotoku non fa eccezione e propone al suo interno un piccolo dépliant con le illustrazioni a colori dei principali personaggi del gioco. Non è un artbook, ma è una graditissima presenza che nei titoli occidentali è da sempre snobbata.
La bellezza dell’ambiente post-atomico
Iniziamo a descrivere Hokuto Ga Gotoku nel suo aspetto grafico, elemento basilare trattandosi di un titolo con un protagonista tanto iconico quanto gli ambienti post atomici nei quali è immerso. Non c’è dubbio che il lavoro svolto sia stato magistrale, i personaggi, gli ambienti, le inquadrature… tutto evoca perfettamente lo spirito e le atmosfere del cartone animato.
La scelta dello stile grafico, per il quale è stata utilizzata la tecnica dello cell shading, è stata a mio avviso molto felice e produce una soluzione ibrida tra il realismo ed i contorni molto definiti, tipici delle serie animate. Il risultato è sicuramente di grandissimo impatto. Per dare un riferimento, lo stile grafico può vagamente ricordare quello di Gravity Rush 2, del quale potete leggere la recensione al seguente link. Questa impostazione ha consentito agli sviluppatori di implementare il giusto mix tra un realismo convincente, indispensabile nei giochi odierni, e di mantenere nel contempo vivissimo il legame con l’opera originale. Le espressioni, il tono dei dialoghi, le movenze: tutto è come deve essere per far vivere in prima persona al giocatore l’esperienza delle avventure di Ken Shiro.
Le movenze della Sacra Scuola di Hokuto
Dal punto di vista delle animazioni, al contrario, qualcosa di meglio si sarebbe sicuramente potuto fare. Durante l’esecuzione di alcune tecniche si ha l’impressione che a muoversi sia solo quasi l’arto che effettivamente porta il colpo a bersaglio. Anche durante la salita e la discesa dalle scale l’animazione appare piuttosto macchinosa ed innaturale… tutti aspetti che lo collocano, tecnicamente, ben al di sotto dei top di gamma per PS4. Per fare un esempio siamo davvero lontani dalle animazioni di un Horizon Zero Dawn.
Un discorso particolare, anche se ci ritorneremo più avanti parlando del gameplay, meritano le tenciche segrete con le quali il nostro protagonista “finisce” gli avversari. Divertimento e cinematicità: le mosse finali vengono eseguite tramite la pressione, con un preciso timing, di determinati tasti e in funzioni della precisione l’esito finale sarà più o meno efficace. Tranquilli: le deformazioni dei corpi, le esplosioni e gli schizzi di sangue sono presenti e perfettamente riprodotti. Anche qui, manco a dirlo, temiamo per le possibili censure in una versione occidentale.
Uattattattattà!
Anche per il sonoro è stato compiuto un lavoro altrettanto meticoloso, suoni, esplosioni e dialoghi assicurano all’utente le emozioni che si aspetta di trovare. Certo, sentire in italiano Ken Shiro che pronuncia: “hhhh, ti restano sette secondi di vita…” sarebbe un sogno proibito che adesso come adesso ha tutte le probabilità di rimanere irrealizzato, ma anche sentirlo parlare in giapponese fa il suo effetto. Fra l’altro è stupefacente come la voce italiana sia estremamente fedele al timbro vocale di quella giapponese.
Una storia già scritta, ma con un nuovo gameplay
La storia, va sottolineato, viaggia molto liberamente rispetto all’originale. Molti personaggi, e molte situazioni, sono ugualmente presenti, ma eventi, ruoli e trama cambiano sensibilmente. Se alcuni puristi potrebbero storcere il naso, è altrettanto vero che l’atmosfera e lo spirito del brand sono assolutamente preservati.
Senza togliere il gusto della scoperta a chi, prima o poi, intenderà giocarci, anticipiamo soltanto le prime fasi, dove Ken Shiro, una volta sconfitto Shin nel tutorial/primo capitolo, si dirigerà verso la città di Eden, uno dei pochi avamposti umani che può ancora vantare una certa ricchezza di risorse. Una volta avuto accesso e superati determinati scontri, leggi boss del secondo capitolo, si aprirà progressivamente l’accesso alla suddetta città, in un parziale free roaming che, come ho detto, può vagamente ricordare, in piccolo, la struttura di Gravity Rush 2.
Complessivamente il titolo garantisce almeno una quindicina di ore di gioco, che possono considerevolmente aumentare nel caso, probabile, che si finisca col l’incagliarsi, sempre per colpa della lingua, nel corso del gioco. In alcuni punti è davvero facile perdersi e non capire cosa occorra fare per proseguire. A titolo di esempio, capita di doversi procurare un determinato oggetto attraverso una serie di baratti piuttosto complicata… in questi punti, se non volete sacrificare ore e ore di gioco, qualche piccolo “aiuto a casa” è quasi obbligato.
Questioni personali
Ottimo il lavoro fatto nella caratterizzazione dei boss e delle relative dinamiche nei duelli. Il sale di qualsiasi avventura di Ken il Guerriero. Lo stile degli avversari varia sempre e, oltre all’abilità, occorrerà sforzarsi un attimino per comprendere quale sia la strategia migliore per uscire vittoriosi. Naturalmente si potrà scegliere l’approccio più consono al proprio stile di gioco ed ai potenziamenti per i quali abbiamo optato. Ammettiamo di aver giocato cautelativamente a difficoltà Easy, come assicurazione per gli ostacoli nella gestione dei menù (inventario compreso) che la lingua giapponese poteva creare. In queste condizioni, la sfida non è sicuramente di livello particolarmente elevato.
Il manuale del perfetto Hokuto-ka
Riguardo alla giocabilità, è essenziale soffermarsi sul sistema di combattimento. Anche in questo caso, sulla fruibilità del prodotto, pesa moltissimo l’incomprensibilità della lingua. Nei vari menù sono presenti un inventario per oggetti consumabili ed uno schema ad albero nel quale è possibile acquisire ed implementare quattro gruppi di abilità, ciascuna identificata da uno specifico colore.
Venendo alla fase mazzulatoria vera è propria, il sistema di combattimento è abbastanza interessante. Dopo aver “aperto la guardia” con attacchi più o meno tradizionali è possibile, premendo il tasto cerchio, accedere alle tecniche speciali della scuola di Hokuto, ovviamente tra quelle che il livello del nostro personaggio garantisce. Una volta iniziata la tecnica, verrà portata a piena esecuzione attraverso un sistema che ricorda da vicino titoli come God of War o Bayonetta, dove è richiesta la pressione di determinati tasti con un preciso timing indicato a video. Più sarà preciso il timing e più punti verranno assegnati.
Per chi non ama, come il sottoscritto, questo tipo di pattern predefiniti, l’intero “sistema” potrebbe risultare sgradevolmente riconducibile al gameplay di un qualunque Guitar Hero. Va tuttavia concesso che questo metodo risulta essere in definitiva piuttosto divertente e, cosa più importante, molto ben implementato nel contesto di una “fatality”. Alla fine, proprio come in Guitar Hero, si tratta pur sempre di …suonarle!
Tocchi mortali e tocchi di altro genere
Infine, nella città di Eden, oltre a menar le mani in abbondanza, vi verrà anche offerta la possibilità di intrattenervi in numerosi mini giochi e mini attività. Alcune di queste sono piuttosto in contrasto con il personaggio classico di Ken Shiro. Nella serie originale sicuramente non si sarebbe mai dedicato a gestire un night club e relativa sicurezza, ma tant’è. Al casinò sarà possibile giocare a Poker, Roulette, Black Jack… tutto in giapponese, ovviamente. Nelle varie zone della città impersoneremo anche altre professioni, in particolar modo quella di un barman intento ad applicare le tecniche della Sacra Scuola di Hokuto nella preparazione di vari tipi cocktail. Cerchiamo di accogliere queste scelte del team di sviluppo, il celebre team Yakuza, in chiave ironica ed irriverente anche se, per il sottoscritto, restano non del tutto condivisibili.
In maniera molto più consona, si avrà anche la possibilità di giocare proprio al titolo di Ken Shiro (versione giappo naturalmente) per Sega Master System, che abbiamo ricordato all’inizio di questa recensione. Ad onor del vero questa possibilità era garantita anche nel musou per Playstation 3, ma non disturba affatto che sia stata riproposta anche in questa occasione. Allo stesso modo si potrà usufruire delle versioni arcade di celebri coin-op SEGA, più o meno contemporanei all’epopea originale di Ken il guerriero. Space Harrier, Super Hang-on e Out Run saranno lì ad aspettarvi per una partitina… e in questo caso la loro presenza è meravigliosamente coerente con l’atmosfera dell’opera calata in un videogame!
IN CONCLUSIONE…
Hokuto Ga Gotoku è un titolo di ottima qualità, che sarebbe degno di nota anche se non avesse dalla sua la possibilità di far leva sulla popolarità del suo protagonista. La fedeltà all’opera originale si sposa e si fonde in maniera riuscitissima con un gameplay moderno, attuale e per quanto possibile vario. Da questo punto di vista, forse il più importante nel valutare un gioco del genere, è stato effettuato un ottimo e riuscitissimo lavoro. La scelta di adattare personaggio e storia in chiave Team Yakuza, con qualche circostanziata eccezione, risulta complessivamente felice e funzionale alla concettualizzazione di un videogame moderno. Di contro nessun elemento del gioco risulta brillare per originalità nell’agguerrito panorama delle produzioni attuali concorrenti. Come altro aspetto negativo, non intrinseco al gioco, resta tutto il peso delle limitazioni legate alla NON conoscenza della lingua giapponese. Quest’ultimo fattore può costituire un indubbio problema, non solo in termini di avanzamento del gioco, ma anche in termini di fruibilità e godimento dello stesso. Se siete disposti a fare i conti con questo tipo di compromessi (sempre che non conosciate a menadito la lingua del paese del Sol Levante) e amate il personaggio di Ken Shiro, il titolo merita senza dubbio alcuno il vostro interesse. Che dite, apriamo una petizione a Sony/Sega per la pubblicazione del titolo anche in occidente?