Nella giornata di ieri è stata rilasciata la nuova versione dell’International Classification of Diseases (ICD-11). Si tratta della classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La notizia che sta rimbalzando tra le testate videoludiche e non è che è stato ufficialmente incluso nell’elenco il Gaming Disorder. Sono mesi ormai che se ne parla, con moltissime polemiche e proteste da parte soprattutto dei videogiocatori, che si sentono etichettati e “attaccati” da un nuovo fronte, dopo quello ormai tradizionale dell’accusa – infondata – di istigare alla violenza.
Vorrei però intervenire per dare un freno all’ondata di indignazione seguita alla notizia in queste ore, prendendo in considerazione però in primis chi la notizia la sta dando. Si vede infatti ripetuto in tutti i titoli delle notizie e nei testi, in toni sensazionalistici, che l’OMS avrebbe indicato la dipendenza da videogiochi come una malattia mentale. La questione non è però liquidabile, secondo me, con una simile affermazione.
La classificazione ICD contiene innanzitutto malattie “classiche”, come disturbi del sistema respiratorio, neuropatie, malformazioni, malattie infettive e così via. Ma include anche ulteriori disturbi, che coinvolgono la salute psicologica e psichica. Quello che viene definito Gaming Disorder è incluso nella categoria “Disorders due to substance use or addictive behaviours”, cioè “Disordini/Disturbi dovuti all’uso di sostanze o a comportamenti che causano dipendenza”.
La cosa naturalmente non viene fatta con leggerezza. Un disturbo arriva ad essere incluso in una classificazione del genere dopo una certa (elevata) serie di casi documentati e statisticamente rilevanti. E su questo c’è poco da dire, data la descrizione estremamente chiara, e che ricorda da vicini altri tipi di disturbo che possono essere associati a pratiche in grado di estraniare la persona dalla realtà. Cosa che spesso non è un male, anzi è uno dei modi in cui noi gamers possiamo rilassarci dopo magari una giornata di lavoro. Tuttavia, come tutte le pratiche, può essere soggetta ad un ABUSO, che di certo non comporta mai conseguenze positive. In questo caso si parla di priorità data al gioco che viene posto al di sopra di tutto, anche dei rapporti sociali (ok, questo a volte ci capita, a me in primis!) ma soprattutto della propria salute.
Gaming disorder is characterized by a pattern of persistent or recurrent gaming behaviour (‘digital gaming’ or ‘video-gaming’), which may be online (i.e., over the internet) or offline, manifested by: 1) impaired control over gaming (e.g., onset, frequency, intensity, duration, termination, context); 2) increasing priority given to gaming to the extent that gaming takes precedence over other life interests and daily activities; and 3) continuation or escalation of gaming despite the occurrence of negative consequences. The behaviour pattern is of sufficient severity to result in significant impairment in personal, family, social, educational, occupational or other important areas of functioning. The pattern of gaming behaviour may be continuous or episodic and recurrent. The gaming behaviour and other features are normally evident over a period of at least 12 months in order for a diagnosis to be assigned, although the required duration may be shortened if all diagnostic requirements are met and symptoms are severe.
E’ importante sottolineare che viene indicato che il comportamento, per essere indicato come disturbo, deve essere frutto di un escalation e deve perpetrarsi per un periodo di almeno 12 mesi. In questo lasso di tempo, come può accadere con il gioco d’azzardo (inserito anch’esso nella classificazione) le conseguenze sui rapporti sociali e la salute risultano evidenti, e diventa necessario intervenire.
Il punto è che non stiamo parlando del fatto che “i videogiochi fanno male”. Ma di un modo sbagliato di farne uso. E qui si può aprire – non lo faremo, non approfonditamente – un complesso discorso che riguarda lo stato della tecnologia e dell’uso di essa al giorno d’oggi. Lo sapete bene, è palese, come alcune tecnologie oggi di uso comune, tra tutti gli smartphone, hanno causato nelle persone un comportamento che rasenta quello della dipendenza. Ed è insito in ognuno di noi tendervi. Un po’ perché è qualcosa che sembra semplificare la vita, ma poi la complica ulteriormente. L’essere umano è fragile. Dategli qualcosa che glielo farà dimenticare per un po’, e rischierà di perdervisi, con la sensazione effimera di essere invincibile.
Ma mettendo da parte questi voli pindarici, possiamo arrivare a dire che la nascita di simili disturbi, che non si può negare esistano, in persone più fragili di altre, deve essere presa in serissima considerazione. E l’unico modo di farlo è andare alla radice, che per ognuno di noi è la scuola, l’educazione.
Vorrei citare, giunta a questo punto, una mia personale riflessione, già pubblicata, in un commento, su queste pagine:
La questione è proprio l’abuso. Abuso a cui si giunge per vari motivi, ma che è effettivamente un problema nella realtà di oggi, di un mondo che corre velocissimo e a cui il più delle volte è difficile stare dietro. Anche per questo ci si rifugia in mondi “altri”. Personalmente, è una cosa che ricerco. Io gioco molto è a volte ne trovo beneficio, perché diventa una sorta di “pausa” dal mondo esterno, in cui posso concentrarmi su qualcosa e “spegnere” il cervello. A volte però mi rendo conto che la linea che separa il benessere dal malessere è sottile, purtroppo. Ed è vero: la questione va posta alle singole persone in quanto tali, e non in quanto gamers. La questione dell’abuso e della fuga dalla realtà va affrontata nelle scuole e nell’educazione. Solo conoscendo bene se stessi e ciò che si ha davanti (una cosina da niente, insomma…), si può essere in grado di gestirlo, o almeno provarci.
In conclusione: Il dito NON E’ puntato sui videogiochi, ma sull’eventuale comportamento ossessivo che una persona GIA’ PREDISPOSTA può avere. Per predisposta intendo che possiede fattori di rischio di dipendenza, quali possono essere stato depressivo, condizioni familiari negative e simili. Deve essere questo, secondo me, un passo per muoversi in una direzione di riflessione su come la tecnologia di oggi, in continua evoluzione, sta impattando sulle nostre vite, e su come riuscire a fare crescere delle generazioni consapevoli della bellezza dei mezzi che hanno e avranno a disposizione, ma anche dei rischi legati ad essi.
Non “gioco, quindi sono”, ma “sono, quindi gioco”.
Quindi ragazzi, state tranquilli. Nessuno vi sta dicendo che siete malati.