L’uscita di Sekiro: Shadows Die Twice è stato senz’altro uno degli eventi più importanti dell’anno. Il ritorno di From Software e Hidetaka Miyazaki non ha mai avuto tanto palcoscenico come in questo caso, soprattutto con la scelta di uscire con un titolo che intendeva distaccarsi con decisione dalle meccaniche souls e di roleplay, mantenendo però quell’impronta autoriale a cui ormai siamo abituati.
Attenzione: l’articolo potrebbe contenere SPOILER riguardo all’endgame e ad alcuni dettagli sul gioco. Avanzate a vostro rischio e pericolo.
L’esordio è stato spietato per molti: ci si aspettava certamente una certa difficoltà, in sostanza un marchio di fabbrica From, ma la curva di apprendimento incredibilmente elevata è stata un ostacolo soprattutto per i più veterani dei precedenti titoli dello sviluppatore giapponese. Coloro che si aspettavano di essere davanti ad un “souls un po’ diverso” sono stati asfaltati dalla spietatezza del nostro Lupo e dei suoi avversari, soccombendo ancora e ancora. Il sistema di combattimento di Sekiro, il vero cuore del titolo, ha saputo unire aggressività (assolutamente necessaria) e tempismo, in uno schema che risulta non semplice da comprendere al primo impatto, ma sempre più facile da padroneggiare con la tenacia giusta, man mano che si avanza. Il sistema di parry e contrattacchi implementato da From Software è, a mio parere, uno dei migliori degli ultimi anni e anche, per certi versi, dei più innovativi. Sono stati infatti in grado di creare un titolo action simile a nessun altro sul mercato e tra i più soddisfacenti che abbia mai giocato. Il gioco premia l’abilità del giocatore, rinunciando totalmente a statistiche e caratteristiche (cosa sensata, in un puro action). Restano naturalmente dei difetti ormai storici dei titoli From, come i problemi alla telecamera e all’IA dei nemici (entrambe comunque migliorate rispetto al passato), ed alcune perplessità legate all’esperienza post-endgame.
Nella strada che ho intrapreso (e concluso) verso il trofeo Platino di Sekiro sono emersi diversi spunti di riflessione sulle criticità che possono essere discusse e sugli elementi che invece vanno preservati e da cui molti sviluppatori potrebbero imparare.
Innanzitutto, appare quasi sorprendente, a primo acchito, notare l’elevata percentuale degli utenti che hanno ottenuto il Platino su PS4 – più elevata di quanto ci si possa aspettare. Al momento è infatti attestata all’8.1%, mentre ad esempio se parliamo di Dark Souls 3 siamo al 4.9% e invece Bloodborne al 5.8%. Si tratta di dati indicativi, che prendono anche in considerazione solo una parte dell’utenza (tranne che per Bloodbone, essendo esclusiva Sony), ma parzialmente significativi per ciò di cui sto per discutere.
Come i suoi predecessori, Sekiro presenta naturalmente la possibilità di procedere, una volta terminato il gioco la prima volta, con il NG+. Questo è in realtà necessario in quanto sono presenti ben quattro finali diversi e bisogna ottenerli, tutti se si vogliono ottenere tutti i trofei. E fin qua, nulla di male. Il NG+ è strutturato in modo piuttosto classico, con la difficoltà che aumenta ogni volta di qualche gradino. Nello specifico, cambiano alcune statistiche, come la resistenza della postura dei nemici, i danni inflitti e subiti e la resistenza della propria postura. Non cambiano invece la quantità, i tipi, le posizioni di nemici e oggetti (tranne per alcuni oggetti unici, come gli strumenti prostetici, i grani o i semi già ottenuti precedentemente, sostituiti in questo caso dalle statuette Jizo o da borselli di Sen). Un semplice upgrade di difficoltà quindi. Interviene in questo caso però un elemento che è nello stesso tempo una delle migliori ma anche delle criticabili caratteristiche del gioco. Una volta infatti superata l’elevata curva di apprendimento iniziale, che dura in sostanza per tutta la prima run, il giocatore si troverà premiato con una padronanza molto importante del sistema di combattimento, unita alla conoscenza dei nemici, dei boss e dei loro moveset. Questo se da una parte è un premio, da un’altra rende l’esperienza incredibilmente facile, anche in NG+5. Questo dipende probabilmente in realtà dalla scelta di non cambiare assolutamente nulla nelle partite successive (come invece succedeva in Dark Souls 2, con l’aggiunta di molti nemici e il cambiamento della posizione di alcuni oggetti e addirittura delle modifiche in alcune boss fight). A causa di questi elementi dunque, mi trovo a concludere purtroppo che l’esperienza di NG+ di Sekiro è quasi troncata e rischia di risultare ripetitiva e fin troppo facile, soprattutto nel momento in cui bisogna affrontare il gioco una terza ed una quarta volta per ottenere tutti i finali. Unico elemento che aggiunge ulteriormente una sfida al giocatore è la presenza (dal NG+) del “talismano di Kuro“, utilizzando il quale si rende l’esperienza semplicemente più difficile.
Aggiungiamo inoltre alla panoramica, la presenza di alcuni nemici che hanno fatto storcere il naso a più persone, sia a livello di concept che poi per come è stata pensata la loro sconfitta. Creature come i “senza testa” e gli “stregoni”, inseriti in modi apparentemente casuali e soprattutto non spiegati, sembrano inizialmente insormontabili, ma non appena si viene in possesso di due specifici oggetti (la fiaschetta contro il terrore e i coriandoli divini) il tutto si trasforma in una barzelletta e nella “fiera dell’R1”. Vista la cura per i dettagli a cui ci hanno abituato From e Miyazaki, questo fatto mi ha un po’ lasciata interdetta.
L’altro elemento che rende forse “più semplice” ottenere questo Platino, è il fatto che in sostanza i vari trofei legati ad abilità e oggetti tendono ad essere sbloccati in modo piuttosto naturale – senza ovviamente escludere un po’ di backtracking alla ricerca degli oggetti o dei segreti più nascosti (ma nulla di impossibile). L’unico che mi ha causato una perdita di tempo un po’ più elevata è quello che riguarda lo sblocco di tutte le abilità, legato in sostanza al farming dei punti abilità a cui ho dovuto dedicare un po’ di tempo. Il bilanciamento però dei trofei risulta comunque ottimo e non si tratta affatto di obiettivi frustranti o impossibili. In sostanza, quello di Sekiro è un Platino sano, inficiato solo dal fatto discusso precedentemente del rischio ripetitività delle run successive.
Un alto elemento piuttosto importante su cui mi sento di fare una riflessione è quello legato al level design. Personalmente ho adorato i lavoro svolto con la mappa di gioco e le ambientazioni. Quello che all’inizio sembra essere un corridoio in una direzione, si trasforma poi improvvisamente in una miriade di strade diverse e la scelta cade sul giocatore stesso. L’effetto può in effetti risultare spiazzante all’inizio ed è vero che risulta fin troppo poco chiara la strada “corretta” da intraprendere. Ma in realtà, in stile soprattutto del primo Dark Souls, la scelta è nelle nostre mani. La verticalità inoltre introdotta dal rampino crea un sistema di esplorazione nuovo, incredibilmente piacevole e soddisfacente, con la giusta attenzione ai vari luoghi e strade percorribili. Un modo diverso di pensare ad una mappa, che ci costringe a porre il nostro sguardo non solo davanti e dietro di noi, ma anche verso l’alto e verso il basso in un modo forse mai visto prima in un titolo del genere.
Ci sono diversi elementi “nuovi” introdotti in Sekiro, come ad esempio il sistema dell’aggrapparsi alle sporgenze, che richiede obbligatoriamente la pressione di un tasto, oppure la non morte da caduta accidentale (se non in alcuni casi) e, naturalmente, lo stealth. Tutte feature amalgamate nel modo migliore possibile, per creare un’esperienza di gameplay fluida e soddisfacente come poche. E, soprattutto, più facile per alcuni e incredibilmente più difficile per altri.
Personalmente ho “smadonnato” (passatemi il termine) parecchio dietro questo gioco, eppure lo considero essere decisamente più facile rispetto ai souls. Mai però come in questo caso una considerazione del genere risulta essere altamente soggettiva, visto che dipende esclusivamente dallo stile di gioco di ognuno e da come ci si trova meglio.
Si potrebbe discutere di molte altre cose riguardo a Sekiro, tuttavia non ci troviamo in fase di recensione, ma di semplice riflessione dopo molte ore di gioco concluse con l’ottima soddisfazione del completamento al 100%. Nonostante i suoi difetti, che ci sono, Sekiro: Shadows Die Twice resta un titolo eccezionale e probabilmente uno dei migliori del suo genere, oltre che dei più interessanti (anzi mi sbilancio, il più interessante) tripla A usciti quest’anno. Se non lo avete ancora fatto, dategli un’opportunità. Solo però, ovviamente, se avete tanta pazienza.