Mooseman: l’uomo alce. Questo è il frutto del lavoro di un’etichetta indipendente russa composta da due soli elementi, Vladimir Beletsky e Mikhail Shvachko. Ricordiamo che il titolo è già disponibile da qualche tempo per mobile e verrà rilasciato a giugno 2018 per PS4, XBOX ONE, Switch e PC tramite la piattaforma Steam.
Innanzitutto una doverosa premessa: parlare di The Mooseman come un semplice videogioco è riduttivo e limitativo. Appartiene senz’ombra di dubbio a quella categoria di produzioni indipendenti che sanno distinguersi ed elevarsi dalle produzioni in serie di moltissimi titoli, spesso e volentieri anche tripla A, sorprendentemente simili tra loro per dinamiche, tecniche di gioco e situazioni.
L’inizio del viaggio
Classificare quindi The Mooseman come un platform ad enigmi diviene quindi un’operazione corretta, ma fortemente limitante per tutto ciò che questa produzione vuole essere. La storia, l’atmosfera, i tempi di gioco sono lontani dai titoli più convenzionali, dove quasi sempre ci si trova a gestire arsenali di armi, oggetti più o meno craftati, abilità speciali e quant’altro. In The Mooseman, essenzialmente, dovrete compiere un viaggio. Fisico e metafisico. Per questo motivo, lo diciamo sin d’ora, è una produzione alla quale è doveroso approcciarsi, ed esser disposti a farlo, nel modo corretto.
The Mooseman è un titolo che va “respirato”, ancor prima che giocato. Se lo si desidera, lo si potrebbe definire un gioco “da meditazione”. Soffermarsi sugli aspetti artistici e sulle atmosfere dimenticando le più consuete e, beninteso, interattive dinamiche tipiche e proprie di un videogame, è non solo il miglior modo per gustare questa produzione ma, più probabilmente, il solo e l’unico.
Si può non essere d’accordo con determinati approcci e linee di principio, ma produzioni come The Mooseman vanno prese per ciò che sono, o non vanno prese affatto. Inutile perdersi in disquisizioni personali. D’altronde, una delle regole fondamentali non scritte di una recensione corretta, è che un titolo vada sempre valutato per ciò che è e non per quello che avrebbe dovuto-saputo-voluto-potuto, secondo un giudizio personale, essere.
Un luogo ed un tempo remotissimi
Iniziamo quindi ad addentrarci, è proprio il caso di dirlo, in The Mooseman partendo dall’impatto che il titolo esercita su di noi al momento delle battute iniziali del gioco. Una breve intro ci trasporta immediatamente ad un contesto storico e culturale geograficamente corrispondente all’incira alla regione dei monti Urali. Sette uomini, accampati in un bosco. Uno di loro si alza ed inizia a camminare. Nel corso del racconto capiremo molto bene chi sono, da dove vengono e, soprattutto, quale sia la loro missione.
Gli aspetti antropologici di queste popolazioni con il loro intreccio di miti, leggende, pratiche sciamaniche sono quindi al centro di questa produzione. Nel prosieguo della storia si farà sempre più la conoscenza, anche attraverso gli artefatti che si recupereranno, delle creature ultraterrene e soprattutto della stratificata struttura della cosmologia concepita da queste tribù. Ad ogni checkpoint, frequenti, ci verrà poi proposto un “mito” con la relativa spiegazione di quest’ultimo. Apprenderemo così sempre più dettagli circa la struttura di questo mondo, le origini del protagonista e la sua missione.
Cose dell’altro mondo
Il rapporto con l’ultraterreno è un elemento cardine, indispensabile e portante non solo per la contestualizzazione della storia del gioco, ma anche per la struttura dello stesso. Il principale “potere” del protagonista è infatti quello potersi “spostare” tra più piani dimensionali. L’ambiente fisico, se così si può dire, rimarrà il medesimo, ma oggetti, spiriti, elementi circostanti muteranno radicalmente a seconda del piano dimensionale in cui ci si trova. Ad esempio un oggetto che nel mondo reale è inanimato, come un tronco d’albero abbattuto, nel piano spirituale è una creatura serpentiforme in grado di spostarsi. Questa soluzione fonde dunque perfettamente il contesto ambientale con le dinamiche di gioco, rendendole un tutt’uno indissolubile.
Sbiaditi ma autentici ricordi
Un ambiente onirico, frammentario, ancestrale ed indefinito. Tutto questo è ulteriormente armonizzato con uno stile grafico unico ed assolutamente ricercato, ma perfettamente coerente nella sua semplicità. Tre regni: quello inferiore, quello di mezzo dove vivono gli esseri umani, e quello superiore. Viaggiare tra di essi è possibile, ma non è né semplice né facile.
L’”uomo” che ci viene raccontato è un cacciatore nomade, che vive in piccole ed isolate comunità. Il protagonista, per la sua stessa natura che non vi sveliamo, incarna perfettamente la figura dello sciamano di una tribù costituita proprio da individui di questo tipo.
Questo tipo di ambientazione potrebbe indurre a credere che la produzione sia di carattere totalmente fantasioso, una libera interpretazione senza troppi vincoli di coerenza. Nulla di più falso e fuorviante. E’ infatti impossibile non sottolineare sin d’ora il minuzioso lavoro, e lo sforzo, documentale svolto dalla produzione. Tutti gli artefatti fanno riferimento a dei reperti reali, dei quali viene fornito il luogo, l’anno di ritrovamento e l’interpretazione degli studiosi attribuita alla presunta simbologia dell’elemento stesso. La maggior parte di essi risiedono infatti nel museo russo della città di Perm.
Tracce… dal passato
Avevamo accennato poco sopra allo stile grafico. Il gameplay bidimensionale, con i suoi mutamenti nello spostarsi da un piano dimensionale ad un altro, risulta assolutamente perfetto per rendere le sensazioni di identità ed, al tempo stesso, di diversità. Una rappresentazione del mondo a due sole dimensioni è per forza di cose piatta, quasi bloccata, innaturale ed astratta. Eppure, a livello figurativo, è stato l’unico strumento di rappresentazione del reale che l’uomo ha avuto a disposizione per secoli, almeno sino ai rinascimentali studi sulle regole della prospettiva.
Ecco dunque che il passaggio da un piano dimensionale all’altro va ricoprire quella terza dimensione che nello stile grafico scelto per il gioco è volutamente assente. Piani dimensionali la cui traccia, il cui spessore, singolarmente, è nullo. Ma che assieme simboleggiano e rappresentano l’effettiva “profondità” in cui il protagonista può e deve muoversi per venire a capo della sua avventura.
Echi… dal passato
La parte sonora è esattamente come dovrebbe essere in un gioco di questo tipo. Suadente, leggera, sussurrante e, di fatto, in assonanza con il resto del gioco. Sono più giochi di accordi che melodie vere e proprie. Ideali per accompagnare le situazioni del protagonista attraverso dei suoni molto più vicini al “rumore” della natura che a quello della musica. Per contraltare, gli accordi sanno sempre sottolineare molto bene le emozione del protagonista: stupore, sorpresa, incredulità, paura, compiacimento per una scoperta. Uniche tracce di canto, a parte il brano che accompagna il finale, sono in alcuni passaggi di vocalizzi in russo in sottofondo. Un lavoro eccellente da tutti i punti di vista.
Ombre… dal passato
Cromaticamente, lo stile grafico attinge a piene mani dai colori tipici delle regioni più a nord dell’Asia, dove il bianco della neve e tutte le sfumature dei grigi si fondono con il pallido verde della vegetazione ed il nero delle lunghe ombre del lunghissimo inverno di queste latitudini. Più avanti, all’interno di grotte naturali, il verde lascerà il posto a sfumature violaceo-azzurrine, tipiche dell’acqua ghiacciata. In ogni caso si tratterà sempre di colori freddi dove, a far da contrasto, sono solo delle sporadiche macchie puntiformi rosse che rappresentano gli occhi della creatura o dello spirito di turno.
Su questa palette di colori, i personaggi ed i vari elementi sono delineati con uno stile dai contorni approssimati, sempre in controluce e con un tratto grafico a metà tra l’incisione rupestre e la tecnica del carboncino. Con questa produzione gli autori hanno dimostrato senza possibilità di smentita tutto il loro talento puramente artistico.
Il teschio dell’uomo alce
Per tutto ciò che è osseo, il colore assegnato è ovviamente il bianco e, al momento dello spostarsi nel piano spirituale tutti gli elementi che avranno, o assumeranno, questa cromia andranno ad indicarci una sicura appartenenza questo universo. Non a caso il nostro protagonista, che nel mondo terreno a giudicare dal suo contorno in controluce, pare indossi una sorta di mantello con un cappuccio, nel piano spirituale compare sul suo capo un teschio d’alce che, a tutti gli effetti, rappresenta il canale di comunicazione, il veicolo interdimensionale, tra i due mondi.
Ombre… che prendono vita
Di contro le animazioni sono molto curate e dettagliate, quasi a ricordarci che le immagini davanti a noi non sono, anche se vogliono sembrarlo, un quadro statico. Naturalmente non avremo mai nel nostro campo visivo un gran numero di oggetti in movimento. L’uccello appollaiato su un ramo secco che si librerà in volo all’approssimarsi della nostra sagoma sarà però reso nella maniera più fluida possibile. Anche in questo caso il contrasto è evidente e voluto, ricercato. Un attimo prima l’elemento, nel nostro caso l’uccello, è assolutamente immobile, quasi impercettibile e mimetizzato nel suo ambiente. Pochi istanti dopo prende completamente vita e vola via. Proprio come gli oggetti che nel piano dimensionale terreno sono inanimati ma, in quello spirituale, sono, se non vivi, perlomeno mobili ed interagenti.
In giro per enigmi
Gli enigmi presentati nel corso del gioco sono tutti imprescindibilmente legati ai piani dimensionali ed alle modificazioni subite dalla realtà in queste transizioni. Lo scopo ultimo invece resta sempre l’avanzare, il sopravvivere, l’immedesimarsi sempre più nella natura alla quale il protagonista stesso appartiene. Anche in questo caso non immaginiamoci dunque puzzle complessi, marchingegni da azionare con interazioni fisiche.
Durante l’avanzamento del gioco, in una sorta di flashback, avremo la possibilità di utilizzare un arco. Poi apprenderemo meglio le funzionalità del bastone, che ci accompagna sin dalle prime battute dell’avventura, e alla cui sommità è posto una sorta di anello. Anche in questo caso capiremo cosa realmente sia la sfera luminosa che potremo accendere a nostro piacimento al suo interno. Cavalcheremo un animale, ma non vogliamo togliervi il piacere della scoperta. Quasi sempre, tuttavia, la soluzione degli enigmi che ci sbarreranno la strada sarà costituita da un “comportamento” o da una studiata serie di transizioni tra un piano dimensionale ed un altro.
Azione e inazione
Stile grafico, storia e dinamiche di gioco si compenetrano rafforzandosi tra loro e donando all’esperienza di gioco una coerenza fortissima. Di contro, proprio per la sua natura stessa, il gioco fornisce un quantitativo di azione parecchio limitato e blando. Avanzare nella storia, così come per i livelli, significa semplicemente arrivare all’enigma successivo, Questi ultimi risultano comunque nonostante tutto sempre abbastanza diversificati e mai banali. Un po’ di ingegno, un po’ di abilità stealth e tanto trial and error. Purtroppo molte volte l’unico modo per concettualizzare una soluzione ad un enigma è proprio quello di cascarci dentro, ben consapevoli del tragico epilogo a cui si andrà incontro. Poco male, il gioco potrà esser ripreso a pochissimi passi dalla dipartita precedente, ma qualche enigma in più risolvibile senza la pratica della consapevole auto-immolazione sarebbe stato sicuramente gradito.
Conclusioni
Spesso le produzioni attuali di videogames traggono inspirazione da svariate mitologie. The Mooseman rappresenta non solo un’opera coraggiosa, ma di un’intelligenza e cultura di vari ordini di grandezza superiore all’attuale media. Abbiamo esplorato tradizioni e mitologie di ogni singolo ramo del pianeta. In salsa bombarola nelle civiltà precolombiane, all’arma bianca nel medioevo giapponese, e recentemente, in maniera quasi gossippara in quella dello spartano in trasferta nelle terre norrene. Qui si fa sul serio. In The Mooseman non si è romanzato nulla. Si ricostruisce e si narra. Sussurrando.