Effetto WoW
Era il Natale del 2002 e chi vi scrive era un ragazzino poco più che dodicenne. Ricordo che giocavo su un vecchio PC da lavoro di mio padre, una discreta carretta che comunque mi permise di godermi interminabili ore su Warcraft 3, titolo che tutt’ora colloco nel mio Olimpo personale dei videogiochi. Senza contare una miriade di altri videogiochi raccattati qua e là, anche grazie a quella storica rivista che fu Giochi per il Mio Computer. Fu proprio quel fatidico natale che il mio vecchio mi fece trovare sotto l’albero una scatola di discrete dimensioni, di fianco agli improbabili maglioncini e pigiami regalati dalle zie. Con mio gran stupore rimossi chirurgicamente la carta regalo rivelandone l’interno, come nemmeno Indiana Jones ne “I predatori dell’Arca Perduta“: era Warcraft 3. Quel che non sapevo nell’ingenuità dei miei dodici anni è che quel gioco – quel maledetto gioco – mi avrebbe catapultato in un meraviglioso mondo fantasy, minando però le fondamenta stesse della mia adolescenza, eliminando a priori ogni mia possibile interazione col gentil sesso, lasciando di me nient’altro che un eco che risuona ancora oggi come “No Arthas, Frostmourne noooooooo!!!”
Corsi immediatamente ad installare il gioco, in preda al furore spasmodico di intraprendere la mia prima campagna, quando mi accorsi che il menù d’installazione presentava un trailer di un altro prodotto Blizzard: World of Warcraft. Incuriosito il puntatore del mouse s’indirizzò quasi senza il mio consenso su quell’opzione. Un tripudio d’emozioni che la mia fragile mente non poté ricalibrare efficacemente m’investì: che cosa avevo appena visto? Oggi difficilmente potrei sbalordirmi per un trailer in CGI, eppure ricordo esattamente che saltai letteralmente dalla sedia dopo aver visto quel minuto e trenta secondi d’immagini. Orchi, non morti, le potenti mura di Orgrimmar e l’ancestrale foresta di Ashenvale non erano mai state così belle e mai avevo immaginato che sarebbe stato possibile visitarle un giorno. Dovettero passare circa due anni, esattamente l’11 febbraio del 2005 per poter provare con mano WoW, ma lo feci. Dopo ore interminabili di coda per accedere ai server finalmente era il mio turno: il mio mini-me del passato riuscì, per la prima volta, a creare il proprio alter-ego digitale nel Mondo di Warcraft. È lì che nacque Troghoth, il mio orco guerriero.
WoW fu il mio primo approccio con gli MMORPG, successivamente ne provai degli altri, ma periodicamente torno all’ovile in quanto credo di averci lasciato una parte di me, da qualche parte nascosta fra i server di gioco. Lo faccio per pura nostalgia, probabilmente perché mi ricorda la mia giovinezza (ahah) o forse perché, più probabilmente, un gioco che fu e che con gli anni è irrimediabilmente cambiato, certamente per tentare un approccio sempre più moderno al multigiocatore di massa online.
Quest’interminabile introduzione a quella che sarà l’analisi di WoW Classic dopo ben 120 ore di played, ha una sua forte motivazione di fondo: la nostalgia. Non è un caso che questo prodotto sia stato definito da molti come un’operazione nostalgia in piena regola, ma personalmente credo che Blizzard nasconda ben altro dietro quest’operazione.
Operazione nostalgia?
World of Warcraft è l’MMORPG per eccellenza, il sogno diventato realtà della vecchia signora Blizzard, come s’intuiva dal trailer del primo Warcraft: Orcs and Humans, il quale terminava proprio così “Welcome to the World of Warcraft”. Tutt’ora conta milioni di affezionati in tutto il mondo, anche se è da diversi anni che la Blizzard evita di dichiarare il numero complessivo degli abbonati – chissà come mai. Il titolo ha comunque 15 anni sul groppone e mi rendo conto che non è facile mantenere vivo l’interesse di un prodotto dopo tutto questo tempo. Certamente ha sofferto di un calo fisiologico d’interesse, ma è altrettanto vero che WoW si è trasformato così tante volte negli ultimi anni, da aver lasciato interdetti molti fan, tra cui il sottoscritto. Tralasciando i fenomeni Moba e Battleroyal, certamente complici del calo d’interesse del pubblico nei confronti degli MMORPG, WoW ha sempre continuato ad aggiornarsi, pubblicando espansioni su espansioni, fino all’ultima Battle for Azeroth. Ma appena BfA si prepara a spegnere la sua prima candelina, ecco che fa capolino il fratello maggiore, quello che non tornava a casa da una vita: WoW Classic. Sin dal primo annuncio, durante il BlizzCon 2017, WoW Classic è stato accolto con clamore da una larga fetta della community. Il fatto curioso, però, è che Blizzard negò per anni la possibie realizzazione dei server vanilla: proprio J. Allen Brack, ex produttore esecutivo di WoW, ora presidente di Blizzard Entertainment, rispose così in merito la possibile realizzazione dei server classici, per poi rimangiarsi tutto ufficializzando la release quattro anni più tardi.
No, e non lo volete neanche voi. Vi ricordate quando dovevate spammare alla ricerca di un tank durante TbC? Certo che no, ora vi basta cliccare sul pulsante per entrare nel dungeon. Non lo volete.
Confusione a parte in casa Blizzard, WoW Classic è stato ufficialmente rilasciato: iniziamo quindi insieme il nostro viaggio nel mondo di WoW Classic, sperando di non rimanere insta-killati da un rogue ally di livello 60.
Ritorno alle origini
Tornare sulla vecchia Azeroth, esplorare nuovamente quei territori perduti nel codice di gioco e dilaniati dall’espansione Cataclysm, è stato un’esperienza emozionante. È stato fin da subito inevitabile scorrere fra parallelismi sterili tra Classic e l’offerta retail di BfA, ma le differenze fra i due prodotti sono molteplici e sostanziali. Stiamo parlando comunque di un titolo di 15 anni fa. Una su tutte si nota inequivocabilmente durante il primo log-in: la scelta del server, sia esso PVE, Role-play o PVP è di vitale importanza. Optando per i primi due si ottiene un’esperienza classica, con la possibilità di creare personaggi sia di una fazione che dell’altra. Scegliendo un server PVP saremo legati unicamente alla fazione imposta dal nostro primo personaggio che andremo a creare. Ciò si traduce in una limitazione – giustificata – non da poco. Orda ed Alleanza, le due fazione di gioco, contano quattro razze giocabili a testa. Per la prima abbiamo Orchi, Nonmorti, Tauren e Troll, per la seconda Umani, Elfi, Gnomi e Nani. Oltretutto nel Classic vige la vecchia limitazione per le classi Sciamano e Paladino: la prima è esclusiva per l’Orda, la seconda per l’Alleanza. Nel suo totale, comunque, le classi giocabili sono nove: guerriero, mago, warlock, prete, rogue, cacciatore, druido, sciamano e paladino. Personalmente, nella mia prova ho optato per il mago nonmorto, dopo una vita passata a menar le mani con un guerriero.
Riassaporare l’esperienza dei vecchi tempi è stato come se avessero aperto un portale temporale portandomi indietro di quasi quindi anni. Il gameplay ha il flavour vecchia scuola che ricercavo e che ricordavo, molto più lento rispetto BfA, ma sicuramente più gratificante. Mentre nelle ultime espansioni il leveling suona quasi come una perdita di tempo in attesa di raggiungere il level cap – quindi i contenuti end game – in WoW Classic livellare il proprio personaggio è il momento più importante, il viaggio più epico e gratificante, se non il più lungo ed estenuante. È importante pianificare le nostre mosse e risorse, perché il mondo di gioco può essere estremamente pericoloso e letale. Non è cosa rara ritrovarsi contro due mob e perire malamente, per il semplice fatto che nel Classic non siamo eroi dalla potenza illimitata, ma semplici avventurieri o esploratori in un mondo molto più grande e pericoloso di noi. In questo senso le quest sono una delle più importanti fonti d’esperienza, ma il design stesso richiama fortemente l’epopea del grinding ripresa unicamente dai poco riusciti MMO coreani. A volte siamo chiamati ad uccidere determinate bestie per recuperare alcuni ingredienti, ma vuoi il drop rate decisamente basso e la fitta presenza di giocatori che stanno facendo la medesima quest, dopo interminabili minuti di ricerca è facile mollare tutto provando un profondo senso di frustrazione. A volte è proprio il grado sfida ad essere sbilanciato nei confronti del giocatore, trasmettendo una forte sensazione d’inferiorità, che si traduce spesso in morte certa. In questi casi è facile dover viaggiare con lo spirito per 300 o 400 metri, nei casi fortunati, per raggiungere il nostro cadavere per poter respawnare. Non è sempre così, ovviamente. Ci sono missioni di rara bellezza, come Cuergo’s Gold: una vera e propria caccia al tesoro a tema piratesco, con tanto di indizi da decifrare, che ci porterà alla scoperta di un forziere nascosto. Oppure la bellissima chain quest della Principessa intrappolata che ci accompagnerà dal lvl 35 al 50, portandoci a viaggiare per mezzo continente, raccogliendo informazioni, ingredienti, svelando un oscuro mistero. È il viaggio l’elemento cardine della produzione. Non mi è mai capitato di inserire l’autorun, nè nel passato nè nella mia prova di WoW Classic. Il mondo di Warcraft riesce a stupire anche dopo tutto questo tempo, grazie ai suoi panorami di rara bellezza e lo splendido design delle location, come l’imponente Stormwind (capitale dell’Alleanza) e la decadente Undercity (capitale dei nonmorti costruita sotto le macerie del vecchia Lordaeron).
Looking for Group, best way to play
È evidente che per ottimizzare i tempi, sopratutto in questo caso, fare gruppo è la soluzione migliore. Personalmente mi sono ritrovato molto spesso a creare un party, chiedendo ai giocatori che passavano lì vicino, per affrontare una determinata sfida. La cooperazione è l’anima di WoW Classic ed il gioco ci spinge a socializzare vista anche la mancanza di opzioni automatiche di looking for group, proponendoci le pericolose elite quest: missioni consigliate per gruppi da tre a cinque giocatori che vedranno quest’ultimi nell’arduo compito di sconfiggere mob elite molto potenti. Quest’aspetto è andato via via a perdersi nel tempo, superato da pratici in-game-tools che permettono di ricercare un gruppo per missioni, spedizioni e dungeon.
Purtroppo ciò si traduce in un’importante investimento di tempo. Mi è capitato di impiegare fino ad un’ora per formare un gruppo di cinque avventurieri intenti ad inoltrarsi nei lugubri corridoi di Shadowfang Keep e di attendere altri dieci minuti che arrivassero tutti presso il dungeon. Infatti non esistono viaggi istantanei presso le istanze. L’unico modo per muoversi velocemente è utilizzare i fly point che collegano le capitali agli avamposti oppure attendere il livello quaranta per sbloccare la cavalcatura. Quest’ultima ha un costo non da poco, personalmente sono riuscito a comprarla dallo stalliere solo al livello 44, dopo aver racimolato 72 gold. Riuscire a portar a termine un dungeon è un’impresa gratificante. A differenza di BfA che garantisce un modello di loot singolo per ogni giocatore, in WoW Classic torna il loot condiviso gestito dalle vecchie opzioni need e greed. Personalmente ho sempre preferito quest’aspetto che, unito alla necessità di collaborare attivamente attraverso la chat di gioco, favorisce la conoscenza fra i giocatori e la divisione equa delle spoglie della battaglia. È pur vero che questo sistema può regalare pieni poteri ai famigerati ninja looter, maniaci del drop, sempre pronti a rubare tutto ciò che può essere di valore. Ma se siete dei ninja fate attenzione: alla prima bravata la gente spargerà la voce della vostra cattiva condotta. Non c’è ban che tenga di fronte l’inevitabile isolamento degli altri giocatori, com’è giusto che sia. Ma c’è ancora un modo per modo per ovviare a tutte queste problematiche: trovare una gilda, ovvero un gruppo di persone che collaborano sotto un’unica bandiera per il raggiungimento di obiettivi comuni, che siano a breve o lungo termine. Fidatevi, con una gilda seria e divertente sarà molto più entusiasmante affrontare WoW Classic.
Non è invecchiato d’un giorno, ma noi sì
Stiamo vivendo un momento storico per l’industria videoludica, ormai in costante evoluzione ed è sempre più difficile avere l’opportunità di giocare titoli che hanno segnato l’arco narrativo della nostra vita da videogicatori, sopratutto se online. Con WoW Classic Blizzard è riuscita a riportare sui nostri schermi l’incredibile avventura che milioni di giocatori da ogni parte del mondo condivisero quindici anni fa. Dopo tutto questo tempo, esplorare le vaste distese territoriarli di Kalimdor e degli Eastern Kingdoms in compagnia di tantissimi vecchi e nuovi giocatori è per me più che mera nostalgia. È più come una finestra sul passato, un fantastico viaggio nel tempo, capace di riportare alla luce un’esperienza che credevo confinata unicamente nella mia memoria. Tuttavia è impossibile riprovare le stesse sensazioni di tre lustri fa. Vuoi che la stragrande maggioranza della community conosce ormai a menadito il gioco, vuoi anche perché siamo cresciuti, cambiati. Non siamo più i videogiocatori di una decade fa, siamo inevitabilmente diversi, come diversi sono i nostri desideri in un videogioco, le nostre preferenze. E se noi siamo invecchiati, il caro vecchio Classic non è invecchiato neppure di un giorno. Blizzard ha comunicato a più riprese che WoW Classic sarebbe stata l’esperienza più autentica possibile al passato. Purtroppo, e lo dico con un po’ di amarezza nel cuore, è così. Negli anni lo sviluppatore di Irvine ha modificato a più riprese la propria creatura, certe volte fallendo ma altre volte raggiungendo ottime intuizioni. È un peccato che Blizzard non abbia voluto osare di più, magari integrando i nuovi modelli per i personaggi, già disponibili da diversi anni. Avrebbero potuto cominciare fixando anche i bug del passato, invece è possibile esperire sia i vecchi che i nuovi bug o exploit grazie all’unica nuova aggiunta al Classic – lato server – ovvero il layering. Si tratta dell’alternativa allo sharding dei reami retail, tecnologia che consente di creare più copie ed istanze dello stesso mondo per evitare il sovraffollamento dei giocatori. Oppure mantenendo alcune meccaniche interessanti come sono i guild perks, magari riadattandoli al Classic. E perché non introdurre la traduzione italiana come per la controparte retail? Capisco che WoW vanilla non era tradotto nella lingua di Dante, ma non comprendo – se non i motivi economici – la scelta di penalizzare la community italiana. Quel reiterato “A True Classic Experience”, ripetuto all’esasperazione da 2 anni a questa parte, mi ha lasciato con un dubbio che le oltre 120 ore di gameplay hanno parzialmente sciolto: credo che la Blizzard tema la sua stessa creatura, WoW Classic. La teme nella misura in cui, non dovesse continuare a fare i numeri importanti che sta facendo dal day one, potrebbe sfociare in una voragine distruttiva per l’azienda. Lo sviluppatore non ha tirato fuori dal cappello questa produzione, ma ha dovuto scavare e lavorare duramente per riportarla alla luce esattamente com’era un tempo. È stato certamente un investimento di tempo e denaro che si sarebbe potuto bellamente risparmiare, non fosse stato per l’evidente calo ponderale che ha caratterizzato BfA e le ultime espansioni. Non voglio pensare che sia un’ultima spiaggia per Blizzard, ma il dubbio mi è venuto. Ciò però non può essere una scusa per uno sviluppatore come Blizzard per chiudersi a riccio. Abbiamo fra le mani il miglior MMORPG di quindici anni fa, è vero, ma rimane un titolo di quindici anni fa che non gode di nessuno dei miglioramenti grafici o quantomeno di quality of life che WoW ha conquistato nel tempo. Personalmente la trovo un’occasione sprecata: sarà che, come molti, ricordavo nel Classic un’esperienza diversa. Forse, più probabilmente, sono solo io ad essere cambiato e non ho più la voglia di sedermi a reccare mana ogni mob che uccido con il mio mago.