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La Ra’icensione di Shōgun

C’era una volta in Giappone

a cura di Francesco Guarnori 28 Febbraio 2024
a cura di Francesco Guarnori 28 Febbraio 2024
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Intrighi di potere. Tensioni amorose. Due mondi completamente diversi che si sfiorano, come pietre focaie. E scintille che inevitabilmente daranno fuoco a una polveriera, pronta a forgiare la Storia del Giappone feudale. Shōgun si presenta come una serie maestosa, sia produttivamente, che narrativamente, con l’ambizione di offrire l’epico spaccato della Terra del Sol Levante del 1600, sull’orlo di una guerra civile.

shogunTratto dall’omonimo romanzo del 1975 di James Clavell, questo è il secondo riadattamento televisivo, dopo la miniserie degli Anni Ottanta diretta da Jerry London. Eppure il nuovo remake, prodotto da FX e distribuito in Italia su Disney+, sposta il baricentro narrativo, raccontando un Giappone non solo dal punto di vista occidentale (come accadeva nell’opera originale), ma anche – e soprattutto – dal punto di vista dei giapponesi. Così Justin Marks e Rachel Kondo, sceneggiatori e produttori esecutivi, per evitare di scadere in insulsi esotismi e approssimazioni culturali, hanno radunato un vero e proprio stuolo di consulenti linguistici, storici, esperti in usi, costumi, trucchi e acconciature, affinché la ricostruzione rendesse il più possibile giustizia. Un lavoro da colossal che ha richiesto anni di preparazione.

Yoshii Toranaga (interpretato da un penetrante Hiroyuki Sanada), è membro del Consiglio dei Reggenti, istituito fintanto che il figlio dell’Imperatore morto raggiunga l’età per salire al potere. Toranaga è un daimyō (la carica feudale più importante all’epoca) leale, ma sta annaspando contro i nemici al potere che si stanno coalizzando contro di lui.
Quando dall’Europa arriva una misteriosa nave inglese, il suo scaltro marinaio John Blackthorne (un mono-espressivo Cosmo Jarvis) diventerà improvvisamente l’ago che farà pendere la bilancia a favore del signore del Kwanto. E se l’interesse di quest’ultimo verso il cosiddetto anjin (pilota) è puramente strategico – Blackthorne porterà in Oriente le armi da fuoco, allora ancora quasi sconosciute in battaglia – poco per volta tra i due si svilupperà una fiducia reciproca. Merito della nobile Lady Mariko (Anna Sawaii), traduttrice di fede cattolica (convertitasi tramite i portoghesi), che aiuterà il burbero inglese protestante – e con lui, lo stesso spettatore – a conoscere le usanze locali, nonché il credo dei samurai.
Perché Shōgun è una collisione tra fedi e culture, doveri e istinti, spirito di sacrificio e senso di abbandono, lealtà e libertà.

shogunIn molti hanno accostato questa serie a Game of Thrones, ma per quanto siano entrambe in costume, con intrighi politici e combattimenti sanguinari, il mood risulta molto differente. Non è solo per la totale assenza dell’elemento fantasy e l’accurata ricerca del realismo e della veridicità storica. Quanto per la costruzione di una costante tensione: una partita a scacchi lenta e ponderata che, come suggerisce uno dei registi Jonathan van Tulleken, dovrebbe ricordare più House of Cards o Succession.

shogunEppure questo spettacolare dramma di katane e fucili non convince pienamente. Le intenzioni sono chiare e molto apprezzabili, ma l’epica shakespeariana di Kurosawa è assai lontana. Non si riesce a entrare in sufficiente empatia con i personaggi per viverne i conflitti interiori e rimane solo un’ineccepibile, seppur fredda, illustrazione del Giappone del XVII secolo. Forse bisognava spingersi oltre. Osare di più. Ecco allora che il confronto con la serie Netflix Blue Eye Samurai di Michael Green e Amber Noizumi diventa schiacciante. Certo, anche qui le atmosfere sono totalmente opposte: ma l’epoca è la stessa e lo scontro tra Occidente e Oriente è analogo – l’uomo bianco è ancora portatore  di una morte senza onore, arroganti armi da fuoco che vogliono spazzare via un Impero che non comprendono e vogliono solo soggiogare. E Mizu, la protagonista, frutto di questi due mondi, respinta da entrambi, né uomo, né donna, ma onryō assetato di vendetta, combatte per noi. E l’epica moderna trionfa.

Recensione  scritta da Francesco Guarnori di Remake all’italiana

“Scopri i loro fake-remake di film e serie tv in salsa Made in Italy su Instagram e Facebook

disney plusshogun
Francesco Guarnori

Francesco Guarnori vive a Milano e lavora come autore e regista, principalmente per spot, branded content, cortometraggi e documentari. È co-founder di Ra’i - Remake all’italiana, grazie a cui ha aperto uno squarcio nel Multiverso di serie tv e film. La sua mini-serie Reparto Genesi ha vinto presso gli NC Digital Awards, come Best Digital Branded Content, mentre il suo corto L’uomo che uccise James Bond (ora disponibile su Amazon Prime Video) ha ottenuto diversi riconoscimenti nel circuito festivaliero.

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