Kena: Bridge of Spirits. Già l’intestazione che segue il nome della protagonista descrive in maniera perfettamente sintetica ed esaustiva quello che è l’incipit ed il filo conduttore della storia di questo Action Game 3D. Kena, infatti, è una “guida spirituale”: una sorta di sciamana che si occupa di agevolare il passaggio dei trapassati verso l’aldilà. Naturalmente tale compito è tanto più arduo quanto lo spirito di turno ha questioni in sospeso con il mondo dei vivi. Rancori, questioni personali o cose personali non del tutto sistemate ed in generale qualsiasi circostanza che lo motiverebbe in qualche modo a voler rimanere nella dimensione terrena. Sarà dunque compito della protagonista rimuovere tutti gli elementi di disturbo od irrisolti per far sì che lo spirito possa raggiungere pace e serenità adeguate in modo da farlo procedere senza più indugio verso la sfera spirituale.
Emulazione paterna
Sulle orme del padre, che svolgeva il medesimo compito, e mossa anzitutto dall’esigenza di capire cosa sta succedendo al suo mondo sconvolto da un declino collegato a degli squilibri nel ciclo di morte e rinascita della natura, Kena s’incamminerà alla volta del Santuario della Montagna. Luogo impervio ed il cui accesso si rivelerà sin da subito inesorabilmente sbarrato. Nei pressi di un villaggio adiacente, la nostra protagonista farà conoscenza con vari spiriti, personaggi e strane creature. Poco alla volta, e grazie ad una collaborazione reciproca (balle, dovrete fare tutto voi!), Spiriti e Kena potranno proseguire nel loro cammino.
Aura mistica
L’ambientazione si adatta perfettamente alle premesse della storia appena descritte. Tutto è avvolto da una sorta di aura mistico-naturale, dove gli elementi umani, case, strutture ed artigianato, sono caratterizzati ed attingono a piene mani da tutte le culture, sia orientali che occidentali, che hanno sviluppato il culto dei morti e dell’aldilà in maniera significativa. I riferimenti alle tribù indiane del Nord America, all’animismo africano ed alle religioni asiatiche, in particolare Buddismo e Shintoismo, sono palesi e totalmente ricorrenti. Ogni zona che esploreremo ha continui richiami al mondo ultraterreno, appese agli alberi maschere di legno a far da guida agli Spiriti, campanelli e pendenti ad ogni casa e, naturalmente, statuette e santuari per ogni dove.
Paesaggi da fiaba
Boschi, villaggi, zone di pesca e di coltivazione, innevati sentieri montani. Tutti sono legati dal comune denominatore del misticismo. La realizzazione tecnica di questi scenari è indubbiamente di ottimo livello, con paesaggi molto dettagliati e curati, sia nei particolari sia nel level design propriamente detto. Qualità che riesce a far dimenticare una certa, per certi versi inevitabile, ripetitività di alcuni ambienti. Un bosco è pur sempre un bosco, idem per le grotte. Grazie alla cura posta nei dettagli, tuttavia, gli sviluppatori sono riesciti a mantenere il gioco fresco ed interessante anche dal punto di vista visivo.
I legni del mestiere
In ulteriore aiuto vengono in soccorso le abilità delle quali Kena potrà via via venire in possesso, in particolare l’arco, o meglio, il nostro bastone in grado di flettersi, e le bombe. Queste due armi, anche se sarebbe più appropriato definirle “tecniche”, risulteranno molto utili in combattimento, ma saranno addirittura determinanti per ciò che concerne l’esplorazione. L’arco fungerà anche da rampino, mentre le bombe sposteranno rocce e ripristineranno temporaneamente strutture crollate. Tutto ciò, attraverso la dinamica di puzzle ben costruiti, costituirà la via principale per accedere ad aree precedentemente irraggiungibili.
Il fascino dell’esplorazione
Esplorazione, combattimenti, rompicapi e parte narrativa risultano quindi mixati a dovere, senza la preponderanza dell’uno o dell’altro e soprattutto presentati con una buona soluzione di continuità. Da un punto divista di costruzione dell’ambiente, Kena: Bridge of Spirits rappresenta una soluzione ibrida tra un Open World ed un gioco a progressione lineare con passaggi obbligati. Grosse aree liberamente esplorabili sono collegate tra loro da “corridoi” a percorrenza fissa. Tutto è comunque artisticamente realizzato per dare l’impressione di una completa continuità ambientale. In piccolo, e con una struttura molto più semplice, potrebbe ricordare la distribuzione di gioco adottata nella trilogia di reboot di Tomb Raider.
Un sapiente mix
Nulla quindi di particolarmente nuovo od originale, ma ciascun aspetto è calibrato in maniera molto sapiente, dando all’esperienza di gioco un sapore decisamente appagante, complice anche una colonna sonora di tutto rispetto. L’uso preminente di strumenti a fiato, come il flauto, campanellini e gong, si adegua molto bene al contesto di una società rurale, a contatto con la natura e dove, per forza di cose, il legno costituisce principale la materia prima per la costruzione di qualsivoglia strumento o attrezzo. Alcuni motivi alla lunga potrebbero risultare un po’ troppo ripetitivi, ma il comparto sonoro si attesta in ogni caso su ottimi livelli.
Insidie reali
Passando agli aspetti più concreti della produzione, i combattimenti risultano abbastanza vari. La varietà dei nemici, presenti in determinate zone predefinite, non è vastissima, ma ciascuno ha una adeguata diversificazione. Discreto lavoro è stato svolto anche con i boss. Numerosi e diversi tra loro, sia nello stile di combattimento sia nelle caratteristiche fisico-morfologiche che li contraddistinguono. Non tutti hanno un carisma particolarmente degno di nota, ma anche in questo caso, siamo ampiamente sopra la sufficienza. Quanto al nostro personaggio, la reattività di Kena nel rispondere ad i nostri comandi è buona, così come il campionario di azioni a sua disposizione. L’Albero delle abilità non è vastissimo, ma garantisce dei significativi potenziamenti, utili sia in combattimento sia, come già detto, per la parte esplorativa. A riguardo di ciò, è arrivato il momento di parlare dei Rot.
Puccioso è bello
Queste creature dall’aspetto pucciosissimo rappresentano di fatto uno degli elementi visivi più caratteristici e sbandierati di Kena: Bridge of Spirits, sin dalle prime demo apparse. Piccoletti, neri e con grandi occhioni dolci, all’interno del gioco hanno un’importanza assolutamente rilevante, sebbene la loro presenza visiva sia di natura prettamente estetica. Le creaturine seguiranno ossessivamente Kena in tutte le sue azioni, passivamente. Senza alcun tipo di interazione. Allo stesso tempo saranno utili per lo spostamento di oggetti pesanti o per l’esecuzione di tecniche speciali. Come già detto, però, la scelta è puramente artistica. Semplicemente i Rot “garantiscono di poter fare qualcosa”, ma non sono controllabili da Kena, se non con una gestione totalmente indiretta. Si trovano nascosti ovunque nell’ambiente ed il loro ritrovamento e recupero, in numero adeguato, consente di sbloccare nuove capacità nell’albero delle abilità di Kena. Questa di fatto è l’unica ragione, a parte il gusto della ricerca fine a sé stessa, che può spingerci a collezionare Rot. Infine, un’altra feature totalmente estetica che strizza l’occhio al pubblico più giovane, è quella di poter personalizzare ogni singolo Rot al nostro seguito con un nutrito catalogo di cappelli e copricapi vari. Ottenibili come? Con dei cristalli-pietra azzurri, la valuta principale del gioco ed ottenibili recuperandoli da forzieri, vasi e contenitori di vario tipo.
Divertimento per tutti, o quasi…
Abbiamo accennato ad una potenziale utenza molto giovane, ed in effetti Kena: Bridge of Spirits molto fa per rendersi accattivante agli occhi di questa fetta di mercato. Oltre a grafica e sonoro, il livello di difficoltà è regolabile a proprio piacimento attraverso uno spettro di sfida molto ampio. A livello basso, il gioco, soprattutto i combattimenti, non rappresenta di certo una sfida insormontabile e anche in questo aspetto il pubblico meno smaliziato risulterà sicuramente a proprio agio. Viceversa, passando a Normale o Difficile, la difficoltà s’impennerà immediatamente, con combattimenti alla soglia del frustrante.
Anime in pena
Anche tornando alla narrazione della storia, la giovane utenza apprezzerà il character design di molti personaggi e la ricostruzione delle loro vicissitudini. Diversamente, attraverso una trama seppur semplice, il pubblico più adulto potrà comunque intravedervi numerosi rimandi ad alcuni capisaldi delle filosofie orientali. Come già detto, gli spiriti con cui avremo a che fare hanno tutti, bene o male, dei conti in sospeso con la loro esistenza terrena. Ma tale atteggiamento di rifiuto, la non accettazione di ciò anche è avvenuto nel mondo è definita nel Buddismo come la causa prima dell’infelicità e della sofferenza umana. Premesse per una storia fruibile a più livelli, ma che si esaurisce e si sgonfia rapidamente. Kena si occuperà di tre storie principali distinte e disgiunte, ma di fatto è una continua riproposizione sempre e solo dello stesso concetto. Nell’ultimo loop di avrà semplicemente il ristabilirsi dell’equilibrio naturale (e ambientale) e la riappacificazione di tutti gli Spiriti. Presupposti interessanti, per una storia che, come detto, alla fin fine non riesce mai a decollare completamente.
Un bel gioco dura poco
Paradossalmente, in soccorso a ciò, Kena: Bridge of Spirits è, per il genere d’appartenenza, una produzione relativamente breve. Al finale ci si arriva al massimo in una quindicina di ore ed in un lasso di tempo simile è difficile che il gameplay e la storia possano annoiare. Per i più coinvolti, invece, a margine degli eventi principali si potranno portare a termine delle missioni secondarie, le “Poste Spirituali”, che garantiranno l’accesso ad ulteriori aree e collezionabili.
Avremmo tuttavia gradito che, una volta concluso il gioco, venissero evidenziati sulla mappa, piuttosto approssimativa per una deliberata scelta artistica, i secrets non ancora scoperti. Nulla di tutto ciò, si dovrà vagare a caso o, data l’epoca attuale, cercare video sul web. Accettiamo la scelta, in puro spirito della storia del gioco, con serena imperturbabilità!
Il momento del giudizio
In conclusione, Kena: Bridge of Spirits riesce molto probabilmente a centrare gli obbiettivi che i loro ideatori si sono prefissati. Creare in primis un prodotto molto godibile, bilanciato in tutte le sue componenti, dal look accattivante e fruibile dalla più ampia fascia di utenza possibile. Non verrà certamente ricordato come un prodotto che ha stravolto la storia dei videogiochi, ma dubitiamo che Ember Lab abbia mai avuto questa pretesa. È in ultima analisi il prodotto perfetto per accontentare un po’ tutto e tutti. Ottimo se siete in cerca di svago “leggero” e appagamento per gli occhi, con un pizzico di avventura ben mixata e qualche spunto interessante di riflessione all’interno della storia narrata.
Piattaforma di riferimento utilizzata: PlayStation 5