L’estate volge al termine: salutiamo il caldo, le belle spiagge e i ghiaccioli trattando di The Witcher, la serie di libri fantasy ideata da Andrzej Sapkowski, scrittore polacco.
La saga di Geralt di Rivia è raccolta in una serie di romanzi e racconti che narrano le avventure di uno strigo (essere umano modificato geneticamente in modo da poter uccidere bestie e mostri). In questo episodio di Inchiostro Nerd prenderemo in esame i primi due capitoli: Il guardiano degli innocenti e La spada del destino.
Un Fantasy con la F maiuscola
Ciò che rende un racconto fantastico tale è la presenza di un ambiente e di contorni in grado di stupire il lettore: magia, bestie leggendarie, eventi sovrannaturali, il tutto immerso in un periodo storico simil-medievista (un rifacimento dunque del vero Medioevo). I romanzi di Sapkowski si basano su fondamenta del genere, ben strutturate e in grado di strizzare un occhio a lavori di giganti del settore come Tolkien (ma non rasentiamo la bestemmia, eh!). Il continente immaginario, del quale non viene mai pronunciato il nome, è suddiviso in modo semplice: i territori settentrionali sono occupati da più regni, spesso in lotta o in affari tra loro; le restanti terre appartengono al temibile Impero di Nilfgaard. Le pagine presentano i luoghi più disparati, passando dalle chiassose città e capitali fino alle – apparentemente – tranquille radure e montagne. Le descrizioni degli ambienti non sono pesantemente cariche ed anzi, assecondano gli allenati occhi dello strigo in modo da rendere l’esperienza da cacciatore più verosimile ma non confusionaria. Niente dettagli inutili e pomposi, in pratica.
I vari regni sono abitati da più razze, sebbene gli umani siano in netta maggioranza rispetto ad elfi, gnomi, nani ed altre etnie meno conosciute. Un dettaglio così viene preso in considerazione: il fatto che la maggior parte degli abitanti di ogni città siano umani condiziona fortemente la vita delle minoranze. Alcune di esse vengono persino emarginate, costrette ai ghetti ed alle fogne: nei casi peggiori si narra persino di persecuzioni. Lo strato sociale del mondo di The Witcher si rivela dunque essere ben approfondito e studiato, al punto da dare vita a pregiudizi e stili di vita molto simili ad una società come quella reale. Non mancano atteggiamenti tipici dell’epoca e dell’ambientazione fantasy come le risse, i banchetti o le lotte a suon di spada (queste ultime descritte minuziosamente, soprattutto quando si tratta di narrare le azioni di Geralt). Insomma, l’atmosfera è delineata perfettamente, priva di fastidiosi anacronismi e spesso cruda quanto basta.
Un lupo (quasi) solitario
La saga prende il nome da Geralt di Rivia, celebre strigo, eccellente mercenario ed abile amante. Ciò non vuol dire però che nel corso della narrazione non siano presentati altri personaggi: la penna di Sapkowski si mostra abile nel delineare tante figure e caratteri differenti. Si vede dunque lo strigo viaggiare spesso accompagnato dalle sdolcinate poesie del trovatore e menestrello Ranuncolo (il Dandelion della serie videoludica, per intenderci), mano nella mano con la suadente ed altrettanto pericolosa maga Yennefer di Vengerberg, abbracciando la piccola Cirilla nella notte. Anche se questi personaggi principali non sono costantemente presenti, è raro trovare lunghi capitoli in cui il lupo bianco (soprannome di Geralt) non ha compagnia. Ciò assume più significato nel momento in cui si viene a conoscenza del suo stile di vita: come ogni strigo, Geralt vive alla giornata, guadagnandosi la pagnotta ottenendo incarichi da mercanti, lord o addirittura regnanti in persona. Uccidere mostri è il suo dovere, lavoro per cui viene profumatamente pagato. Non fraintendete, però: anche un witcher ha un codice d’onore che vieta di assassinare creature non letali o semplicemente molto rare ed intelligenti (come i Draghi).
Geralt è uno sporco mutante, come dimostrano i suoi occhi da felino e gli sguardi misti a disprezzo e paura dei passanti che lo intravedono da lontano. In qualità di strigo non prova emozioni, o almeno, questo è ciò che la comunità racconta in giro. Geralt di Rivia prova in realtà molte emozioni: amore nei confronti della sfuggente Yennefer, affetto per il suo amico Ranuncolo, pietà per chi lo affronta senza sapere cosa gli aspetta. Ciò che invece divide l’animo del witcher da quello dei normali umani è la capacità di esternare tali sentimenti: la mutazione impedisce al mercenario di vivere la propria vita sociale normalmente, rendendo una singola espressione di affetto esteriore un’impresa titanica, peggiore di qualunque combattimento nel fondo dell’oceano. Si delinea dunque una figura particolarmente complessa, libera dai cliché del solito lupo solitario e asociale in grado di comprendere solo il linguaggio della spada. Il protagonista diventa uno dei motivi principali per i quali leggere la saga: Geralt non è mai prevedibile, così come nessuno di noi nella vita di tutti i giorni. Siamo tutti un po’ strighi, in fondo.
Dettaglio, fendente, dettaglio
Leggere la saga di The Witcher è tutto fuorché noioso: vi è un interessante bilanciamento tra le sessioni di esplorazione/descrizione e i momenti più action in cui l’aria si scalda e si sfoderano le spade (o gli incantesimi). Ogni porzione di narrato ha il suo spazio ben definito e i tempi si susseguono l’un l’altro senza provocare fastidi nel lettore. Prendendo per esempio un combattimento qualsiasi: vi è una descrizione accurata e minuziosa di ogni istante da parte dei due contendenti. Un attacco richiama una precisa schivata da un lato che porta ad un contrattacco che, se previsto, porta ad un’ulteriore difesa, e così via. Lo stile narrativo prende dunque una piega prettamente cinematografica, creando delle inquadrature immaginarie in grado di direzionare magistralmente l’attenzione. Se tutto questo non basta ad emozionarvi, vi è un’altra caratteristica da considerare come la ciliegina sulla torta della narrazione di Sapkowski: la brevità. Ebbene, la descrizione dei combattimenti non dura solitamente più di due pagine. Tutta l’azione e il pathos del momento vengono assorbiti e – si direbbe – intrappolati tra quelle poche ma sufficienti righe di inchiostro. È la magia del realismo – termine che vi sembrerà folle se riferito ad un fantasy, ma lasciatemi spiegare – che imita un eventuale avvenimento e lo presenta con pura verità: credete che servano più di due semplici fendenti ad uccidere un uomo? O che un mago impieghi più di cinque secondi a polverizzare un plotone di banali soldati? Sapkowski non si dilunga in tediose descrizioni e preferisce andare al sodo verosimile. Nulla di più apprezzabile, non trovate?
Un fantasy di tutto rispetto e per ogni età
Concludendo il nostro incontro mensile, consiglio a chiunque la lettura della saga, in particolar modo dei primi due capitoli, che ho trovato interessanti al punto da voler leggere gli altri. La saga di Geralt di Rivia è un fantasy vero e proprio ma si differenzia dai suoi predecessori per la sua elevata modernità: non si presenta in modo ostico come LOTR e non abbandona le radici simil-medievali del genere. I personaggi sono ben curati, così come la fitta trama. Se poi vi è capitato di giocare ad uno dei titoli (come il meraviglioso gioco dell’anno 2015, The Witcher 3) la lettura è quasi obbligatoria. Non dimenticate, inoltre, che Netflix ha già in produzione una serie, della quale vi lascio il link del trailer. Alla prossima!