Qual è l’acerrimo nemico di Indiana Jones? I nazisti? I serpenti? No, il tempo. Ed è un paradosso perché, prima di essere un avventuriero smaliziato, è un archeologo, un professore che ha fatto dello studio del passato la sua primaria ragione di vita. Eppure quel tempo che inesorabilmente scorre e rende preziose le antichità che il nostro eroe sa scovare, non risparmierà nemmeno lui. Infatti l’Indiana Jones che ritroviamo dopo il prologo, all’inizio del suo quinto film, “Il Quadrante del Destino”, non è più l’eroe che ci ricordavamo: è un vecchio, in mutande, addormentato su una poltrona, il fisico (per quanto in forma) avvizzito, impietosamente esposto allo sguardo dei suoi fan in sala. Una sveglia ticchetta nel silenzio della stanza, inesorabile Memento Mori, che mette subito in chiaro una cosa: siamo al tramonto di un’era. Non a caso l’America festeggia l’allunaggio (siamo nel 1969), simbolo del progresso, del futuro che incombe, mentre il professor Jones viene mandato in pensione, con tanto di regalo da parte dei colleghi: un orologio da tavolo – tanto per rimarcare il concetto – di cui se ne sbarazzerà appena uscito dall’università.
Quel presente che gli rimane in mano è solo una manciata di sabbia che inevitabilmente gli sta scivolando via tra le dita: il figlio ritrovato è morto in guerra e di conseguenza il matrimonio con cui si chiudeva il precedente film (il pessimo “Il Regno del Teschio di Cristallo”) è andato in pezzi. Insomma, il nostro eroe è in piena crisi. Ma sarà il passato a rimetterlo in carreggiata, invocando il suo aiuto: non tanto il passato rappresentato dall’Antikythera, un antico quadrante creato dal celebre Archimede, quanto il passato con la P maiuscola. Perché questo reperto antico parrebbe avere la capacità di aprire varchi nel tempo e un nostalgico cattivone nazista (interpretato da un eccezionale Mads Mikkelsen) vuole usarlo per riscrivere la Storia. E chi meglio di un archeologo, difensore del passato, può impedire che ciò accada?
Un’ultima avventura quindi. Andando a ripescare gli ingredienti tanto efficaci della trilogia di Spielberg: l’azione rocambolesca, lo humour brillante, l’esotismo proveniente dal cinema e dai fumetti anni Trenta-Quaranta (anche se qui sicuramente meno forte, vista l’ambientazione tra Marocco, Grecia, Siracusa), un tesoro magico da proteggere. Certo, questa volta la donna al fianco di Indy non cadrà vittima del suo rude charme. Anche perché Helena (un’irresistibile Phoebe Waller-Bridge) è la sua figlioccia, una sidekick furba e intraprendente, in grado di raccogliere con freschezza e simpatia l’eredità dell’eroe passato (al contrario dell’imbambolato Shia LaBeouf, della quarta pellicola). Naturalmente non manca il ritorno di alcune vecchie conoscenze (seppur per piccoli camei), come le strizzatine d’occhio ai fan: Teddy, l’aiutante di Helena, non può non ricordare Shorty, il ragazzino de “Il Tempio Maledetto” (il Ke Huy Quan, recentemente riscoperto grazie a “Everything Everywhere All at Once”), le anguille del Mar Egeo rievocano le peggiori paure del protagonista, dai tempi de “I Predatori dell’Arca Perduta”, l’inseguimento in tuktuk nelle viuzze di Tangeri riecheggia le scorribande sui carrelli della miniera della setta Thuggee.
Eppure qualcosa non funziona, la trappola non scatta e nessun macigno rotante parte all’inseguimento dell’esploratore. Non è tanto per l’uso eccessivo della CGI nelle scened’azione, che fa rimpiangere i tempi d’oro di Spielberg, in cui tutto era realizzato dal vero.
E nemmeno per il fatto che la promessa fatta all’inizio non viene mantenuta (Jones ha l’aspetto di un vecchio, lo ribadisce lui stesso – “I’m too old for this shit” direbbe l’agente Murtaugh – ma poi alla fine si comporta esattamente come da giovane). Il problema principale è il finale: troppo lungo, eccessivamente dilatato, e che soprattutto non conclude la parabola discendente dell’(anti)eroe. Dopo le ottime disilluse premesse iniziali ci si aspettava un suo degno commiato, il nostro studioso del passato che diventava passato lui stesso. E invece no: la Disney non glielo concede, a costo di scomodare un lieto fine stucchevole e lasciare addirittura uno spudorato spiraglio verso il futuro.
Inevitabilmente, pensando ai primi mitici film, ci si rende conto che avventure del genere non torneranno più. Parafrasando Indy in un dialogo con lo storico amico Sallah (John Rhys-Davies), quell’avventura non puoi più riviverla: “sono giorni passati”. E come le antichità più preziose… “dovrebbero stare in un museo”!
Recensione scritta da Francesco Guarnori di Remake all’italiana
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