Quasi due anni fa, Hideo Kojima ha consegnato al mondo Death Stranding, un gioco d’avventura d’azione tanto rivoluzionario quanto divisivo. Sorprendentemente previdente nella sua visione di una società in cui solo fattorini oberati di lavoro affrontano i pericoli del mondo esterno, il titolo di Kojima Productions non ha lasciato nessuno indifferente. Tornato su PlayStation 5 in una versione “Director’s Cut” che porta miglioramenti tecnici e, soprattutto, un sacco di nuovi contenuti, l’avventura unica di Sam Porter Bridges è ancora affascinante?
Nota dell’autore: la prima parte dell’articolo è pensata per chi non conosce Death Stranding, le novità e le aggiunte della versione PS5 invece le troverete verso fine recensione.
Un game design complesso e magnifico
Parlarvi di Death Stranding e dargli un nuovo voto è una cosa difficile… Da un lato perché ogni dettaglio dato sarà una scoperta in meno per il giocatore che non ha mai provato con mano l’opera di Hideo Kojima, ma anche perché è impossibile spiegare correttamente un gioco che non è definito da un game design di facile comprensione. Inoltre, questa recensione sarà, per quanto possibile, priva di spoiler, ma affronterà comunque diversi punti presenti nei vari trailer pubblicati sia ora che due anni fa. Se volete mantenere completamente la sorpresa, vi invitiamo a non leggere questa recensione e a buttarvi nel gioco, che ovviamente vale la candela. Detto questo, sappiate che Death Stranding si basa su tante, tante piccole meccaniche, sapientemente messe insieme, e che è un tutto, difficile da descrivere. Si tratta di narrazione in capitoli all’interno di un mondo aperto, multiplayer asincrono di genere completamente nuovo, esplorazione da “trekking sim” con tutto ciò che ciò implica in termini di gameplay e pianificazione della spedizione. Infine e per variare le sue fasi di gioco sulla seconda metà dell’avventura, il titolo farà affidamento su un po’ di stealth e un pizzico di combattimento, due punti su cui non eccelle proprio. Da un punto di vista più globale, tutto è cosparso di una forte dinamica di “frustrazione/ricompensa”, che regolarmente ci ricorda che siamo, come giocatori, all’interno di un’esperienza al tempo stesso sociale e divertente il cui tema è l’aiuto reciproco.
Un’avventura che va giocata per essere giudicata
È una certezza, per lo spettatore e talvolta anche per il giocatore, Death Stranding sembra fin troppo calmo, semplice, ripetitivo, e inoltre non ha sempre i canoni di bellezza che si ritrovano negli AAA che hanno forgiato l’ottava generazione di console. Tuttavia, l’audacia del concept, l’ingegnosità della sua realizzazione e la maestria con cui il team di Hideo Kojima (ossia 80 persone) sono riusciti a realizzare questa epopea ne fanno, innegabilmente, un capolavoro. Ma dovete ancora essere in grado di dargli tempo, perché il gioco non si completa in meno di 35-40 ore dedicandosi alla story-line principale, il che ovviamente vi farà perdere molti contenuti. Contate almeno il doppio per portare a termine completamente l’opera, il che è ovviamente un enorme quantità di ore per un gioco in cui il compito principale sarà quello di spostarsi a piedi o con un veicolo in una terra priva di vita. Detto così, capisco che è difficile prendere in considerazione il titolo, eppure Death Stranding ha un magnetismo inspiegabile.
Una narrazione bluff
Come un’ottima serie o un romanzo mozzafiato, ci tuffiamo volentieri, affascinati dai suoi primi istanti, a volte annoiati da qualche tratto a metà della storia, ma sempre aggrappati al filo narrativo, in attesa di un finale che si riveli memorabile e che divoriamo con emozione fino all’ultima briciola, come un Interstellar, un Memento e un Inception di Christopher Nolan. A questo livello, Death Stranding è impeccabile dall’inizio alla fine, fornito da attori la cui presenza e performance qui sono di altissimo livello. La performance capture, realizzata in particolare negli studi Sony Santa Monica, ha ovviamente molto a che fare con questo e permette di raggiungere un livello di realismo impressionante sui filmati.
Più maturo e più smart dei precedenti titoli dello studio, Death Stranding propone una narrazione ben bilanciata, meno generosa nei filmati rispetto ai “classici” MGS ma senza perdere la linfa e lo stile che tanto abbiamo apprezzato. Queste sequenze narrative, che fanno avanzare la storia concentrandosi su ciascuno dei personaggi, sono percepite molto rapidamente dal giocatore come ricompense dopo ogni consegna, tanto che ci si sente subito come un cane Pavlov, sopportando con esso i lunghi viaggi, per saperne di più sull’universo e su tutto ciò che lo circonda. C’è da dire che essere considerati come “Homo Ludens”, ovvero “l’uomo che gioca” da Death Stranding, non ci aiuta proprio ad uscire dal tema della sperimentazione social e ludica. Ma prendiamoci qualche minuto per impostare il contesto, davvero originale, di Death Stranding.
Il passo, senza spoiler
“Un tempo ci fu un’esplosione. Uno scoppio che diede origine al tempo e allo spazio. Un tempo ci fu un’esplosione… Uno scoppio che portò un pianeta a ruotare in quello spazio. Un tempo ci fu un’esplosione… Uno scoppio che generò la vita come la conosciamo. E poi è arrivata un’altra esplosione…”. Questo è, più o meno, il modo in cui ci viene presentato il “Death Stranding”, in modo quasi biblico. Piogge torrenziali che portano ad un invecchiamento accelerato, esplosioni tanto gigantesche quanto misteriose, sostanza nerastra che fuoriesce dal terreno, zone infestate da fantasmi: la Terra divenne un purgatorio per i vivi, comprese fauna e flora, ricordando le 10 piaghe d’Egitto. L’uomo ha dovuto adattarsi, bruciare i suoi morti prima che diventino dannati, nascondersi nei bunker e dipendere dalle multinazionali per garantire consegne di cibo e medicine, prodotti rari che le stampanti 3D non possono riprodurre e duplicare. In questa versione del mondo, i “fattorini” sono gli unici a lasciare le loro case. Coloro che, come il nostro eroe Sam Porter Bridges, hanno sviluppato una certa capacità di rilevare le creature arenate e soprattutto sono gli unici che sopravvivono a lungo.
Il mondo in cui viaggiamo assomiglia molto a quello che segue un’apocalisse zombie, Norman “Daryl” Reedus non aiuta molto a discostarci da questo pensiero. Tuttavia, qui dimentichiamo il lato “sporco” che generalmente portano i morti viventi. Nessuno verrà a banchettare apertamente sui cadaveri quaggiù, e il gioco è quasi privo di sequenze sanguinose, iperviolente o apertamente inquietanti. Tutto è abbastanza “pulito” e abilmente pittorico, come una favola o una storia religiosa che qualsiasi pubblico potrebbe seguire. Quindi sì, a volte manca un tocco di follia, ansia collettiva o psicopatologia post-traumatica, ma il mondo rimane coerente e, inoltre, non è privo di problemi. Li troviamo tra i terroristi, che decimano volontariamente i pochi superstiti rimasti, ma anche tra i Muli, ex fattorini che la follia e la solitudine hanno reso estremamente ostili. In generale, i pochi “veri personaggi” che incontrerete in Death Stranding, a parte quelli nascosti nei loro rifugi e che vi affideranno delle quest, hanno funzioni forti, spesso illustrate dal loro nome o dalla loro breve storia. Sam Porter Bridges è quindi un “ponte” che unisce la nazione caduta, Fragile è una donna forte con un passato spezzato, Bridget Strand è il presidente che incarna “il filo” a cui l’America è attaccata per sopravvivere, e così via. In questo senso, sono facili da definire, ma non personaggi semplici e scritti male. Semplice da capire invece sarà il nostro scopo poiché poco dopo l’inizio del gioco, Sam riceve una missione: collegare la costa orientale alla costa occidentale, grazie a una tecnologia di comunicazione piuttosto strana, chiamata “rete chirale”, una sorta di fibra di nuova generazione che non passa attraverso i cavi, ma attraverso l’attivazione dei vari nodi chirali con il Q-Pid, una sorta di collana che contiene i vari protocolli necessari. La vostra avventura è appena iniziata e da Washington a San Francisco, il vostro viaggio vi farà vedere il paese e incontrare vari tipi di personaggi e creature…
L’esperimento sociale in cui tutti sono degli eroi
Ovunque andiamo, la nostra ricerca ci porta faccia a faccia con l’estrema solitudine del nostro personaggio, di fronte alle sue condizioni di lavoro estenuanti e ripetitive in cui l’unico piccolo bagliore amichevole è incarnato da “BB”. È grazie a questo bambino in una capsula, collegato al nostro eroe, che è possibile rilevare efficacemente le “CA”, i fantasmi che si aggirano per il mondo di Death Stranding. Quindi, ovviamente, ci leghiamo al piccolo bambino, ci divertiamo a vedere che impara nuovi gesti, lo rassicuriamo regolarmente cullandolo con il controller. Ogni fase di stress intenso che subisce, a causa delle nostre cadute o dei combattimenti che intraprendiamo, diventerà per noi, come giocatore, una piccola sofferenza. In questo clima teso, dove la calma la fa da padrone, il minimo miglioramento nella routine del nostro personaggio risulta in guadagno di giocosità per il giocatore, qualcosa che arriva, anche da noi, a rompere la monotonia.
Che sia un po’ di musica, tratta dall’ottima OST del gioco, un panorama che ammireremo riposandoci e massaggiandoci le spalle per ritrovare un po’ di resistenza prima di riprendere il cammino, o un elemento di mutuo soccorso online, lasciato da un altro giocatore tramite il famoso multigiocatore asincrono: tutto è benvenuto. Inoltre, in quest’ultimo caso, ci affretteremo a “mettere mi piace”, apprezzando ad esempio l’utilità di un generatore che ricarica il nostro esoscheletro, o quello di un pannello, posto per dare un po’ di coraggio ai giocatori su una salita o per indirizzare gli avventurieri verso un passaggio di più facile accesso. Mettere mi piace non è utile a prima vista, ma lo facciamo in modo naturale… Perché? Perché altri lo hanno fatto per noi, e perché ci piace il riconoscimento, ci fa piacere sapere che siamo “circondati dalla solitudine” e questa è una sensazione molto strana che avevamo precedentemente provato nei Souls, leggendo i commenti dei giocatori sul terreno. Kojima prende quindi questo concetto e lo mette al servizio del proprio game design, facendo emergere queste strutture e messaggi di altri giocatori una volta che l’area si è “riconnessa” alla rete chirale. Così facendo diventa molto più facile esplorare il mondo di gioco, localizzare oggetti grazie alle torri di avvistamento, viaggiare velocemente grazie alle infrastrutture che costruiremo tutti insieme, come delle scale che collegano un abisso o addirittura ponti per evitare i torrenti, terribilmente pericolosi a causa delle correnti e dell’evidente contaminazione che l’acqua rappresenta per le vostre merci. Tutto questo contribuisce, insieme a tanti altri elementi come autostrade, armadietti condivisi o oggetti “perduti” che altri giocatori possono recuperare, a questa sensazione di riconquista dell’America, come un mondo post-apocalittico che ha bisogno di collaborazione per poter ripartire.
Giocare con l'”online” attivato rende innegabilmente il gioco più facile nelle aree ricollegate, certo, ma dovete comunque affrontare l’ignoto da soli per ottenere questa riconnessione e attivare la condivisione online del territorio. Così facendo accediamo ovviamente alla nostra ricompensa, ovvero il proseguimento dell’epopea narrativa, ma siete liberi, prima di partire, di sfogliare i vari punti di interesse alla ricerca di nuovi contenuti e nuovi contratti di consegna. Ci sono un sacco di beni da riportare indietro, a volte abbandonati dai giocatori, dagli stessi NPC, o dai Muli che li riporranno nel loro accampamento. Più onorerete le consegne, più sbloccherete pezzetti di lore e progetti per creare vari strumenti, armi ed equipaggiamento.
Aiutare un regista rinchiuso nel suo rifugio vi permetterà, ad esempio, di conoscere meglio il cinema “prima del Death Stranding”, ottenendo al contempo piani per realizzare mimetiche ottiche. Conan O’Brien, da buon cosplayer che si rispetti, vi fornirà costumi con funzioni abbastanza particolari, e così via. Il gioco ovviamente pone molta attenzione sulle consegne come potete immaginare, e molti parametri miglioreranno la valutazione delle vostre prestazioni: ordine consegnato in tempo, in buone condizioni, seguendo un percorso ottimizzato, per non parlare di vari gradi di soddisfazione in base alle vostre azioni e decisioni durante la consegna. Death Stranding fa di tutto per offrire un’ottima simulazione, e questo ovviamente si fa sentire sul gameplay complessivo del titolo.
Più di un semplice giro di piacere
In generale Death Stranding possono dire che si è abbastanza ispirato a Zelda Breath of the Wild per costruire la sua dimensione di “esplorazione” e “avventura”. In un certo senso, è per BotW ciò che Gran Turismo è stato per Need for Speed: più rilassato, più tecnico, più profondo, più impegnativo, ma anche meno divertente da guardare e molto meno “divertente” da giocare, soprattutto nelle sessioni brevi. Per sua natura Death Stranding non è un gioco divertente, è un gioco serio, stressante e supportato da una lunghissima fase di apprendimento che durerà dieci ore. È chiaro che questo non è un gioco che piacerà a tutti. Impersonare Sam in queste terre scoscese non è un compito facile, e mentre i trailer e le sequenze di gioco hanno mostrato un gameplay che era sia rozzo che semplicistico, la realtà è spesso molto diversa. Per controllare Sam, dovrete usare un logica e dire a voi stessi, soprattutto, che avete due braccia.
Può sembrare strano, ma ognuno di queste corrisponde a un trigger. L2 stringe il braccio sinistro e R2, il destro. In questo modo è possibile darsi più slancio, rilasciando i grilletti, o, al contrario, guadagnare stabilità tenendoli premuti, il che a volte influisce sulla resistenza e rallenta un po’. Niente paura, non esiste una gestione “troppo acuta” per essere invalidante, ma piuttosto un sapiente equilibrio di cui tenere conto per garantire la stabilità di Sam in base al peso portato, al dislivello topografico e alla azioni che gli farete compiere. Quindi, quando sfrecciate giù per un pendio con il grilletto rilasciato, cadrete sicuramente. Le vostre merci si staccheranno e rischieriete di perderle o danneggiarle. Per non parlare del BB, che inizierà a piangere per lo shock, portando, se non si calma, a un avvelenamento da stress che lo renderà inefficace e incapace di rilevare le CA. Sarà quindi necessario valutare attentamente i percorsi da intraprendere e rimanere attenti, a volte durante spedizioni molto lunghe.
Poiché il gameplay con un Sam sovraccarico è spesso frustrante e lento, dal momento che dovete costantemente riequilibrarvi e giostrarvi con i grilletti, a volte tenderete a diventare impazienti e a correre rischi ingiustificati. Tuttavia, se completate con successo la vostra missione, le ricompense e la possibilità di una maggiore libertà di movimento risulteranno in un miglioramento delle vostre condizioni di gioco. È molto strano da descrivere ed è proprio quella sensazione di privazione e perdita di costrizione, onnipresente in Death Stranding, che fa di una fase “normale” e quindi non sovraccarica, un vero piacere da giocare e un motivo in più per continuare e andare avanti. Infine, per quanto riguarda le fasi più orientate “all’azione e alla suspense”, se siete dei giocatore esperti, pensate ad iniziare il gioco in modalità difficile, in modo da massimizzare il lato della sopravvivenza, la tensione durante i combattimenti e la necessità di cooperare insieme, in modo molto più convincente del normale. State tranquilli, Death Stranding è destinato a un ampio spettro di giocatori, e c’è anche una modalità “molto facile” per coloro che non sono affatto abituati a scontri e situazioni difficili da gestire.
“Edizione Deathinitive”
In effetti, questa Director’s Cut beneficia enormemente delle capacità di PS5. I tempi di caricamento diventano quasi inesistenti (dai 2 ai 6 secondi a seconda della situazione contro 1 minuto e 20 secondi di media su PS4 Pro!), aumento della risoluzione per la grafica finalmente in 4K e ancora più splendida… e soprattutto un framerate costante di 60fps che rende ancora più fluida un’esperienza di gioco piuttosto pesante. Il famoso “SSD magico” della console permette persino di rimuovere il caricamento nascosto ad ogni arrivo della pioggia scura che deteriora l’ambiente, accelera l’usura e fa apparire le CA. La colonna sonora e il sound design sono ancora di altissimo livello: tra le composizioni originali di fascia alta e i numerosi pezzi di tutta una serie di apprezzati artisti di Kojima, Death Stranding è sempre un gioiello, ma questa Director’s Cut si arricchisce di nuove collaborazioni di qualità, in particolare con il musicista francese Woodkid. L’audio 3D migliora ulteriormente quello che era già un grande successo su PS4, rendendolo uno dei giochi più coinvolgenti e realistici disponibili su PS5 quando si tratta di comparto audio!
In termini di aggiunte al gameplay, Death Stranding Director’s Cut ha tante novità, forse un po’ troppe e non necessariamente tutte rilevanti. Ad esempio, la catapulta cargo, il robot compagno e il nuovo stabilizzatore, in stile jetpack, rendono le cose un po’ troppo facili per alcune missioni. L’aspetto intenzionalmente “doloroso” delle missioni di Sam, che fa parte del fascino del gioco, è in qualche modo offuscato. Fortunatamente, queste aggiunte sono completamente opzionali e non le sbloccherete presto. Per quanto riguarda le nuove modalità di gioco, l’idea del “poligono di tiro” per familiarizzare con le tecniche di combattimento è ottima e si inserisce molto bene nell’universo. Questa modalità ha un vantaggio significativo: costituisce una grande opportunità formativa per la lotta contro i Muli, i terroristi e le creature arenate. Si tratta di un modo per apprendere tutte queste fasi senza puntare, né rischiare di deteriorare il vostro materiale e vi permette di migliorare gratuitamente. Non saremmo stati contro una tale modalità di gioco nella versione originale. Purtroppo le sequenze di combattimento sono ancora nella media, soprattutto contro l’IA in forma umana, anche se sono state migliorate e diversificate, con nuove armi piuttosto godibili.
D’altronde il circuito Fragile, anch’esso opzionale, sembra spostato in questo universo, soprattutto a livello del suo aspetto competitivo, abbastanza contraddittorio con lo spirito di cooperazione del gioco. Con questa Director’s Cut, Death Stranding diventa così un po’ meno realistico e più “giocoso”: portando un po’ (troppo?) di fantasia in un universo malinconico ed a volte opprimente, staccando quasi l’opera dal suo soggetto. Originariamente guidato dal suo concetto di multiplayer asincrono cooperativo, Death Stranding ora introduce una nozione competitiva che risulta irrilevante in un gioco che non sembra averne particolarmente bisogno. Tuttavia, gli amanti dei punteggi avranno molto da fare tra i vari eventi del poligono di tiro, le prove a cronometro sulle molteplici configurazioni del circuito Fragile e così via. A proposito di sfide, chi ha già terminato il gioco su PS4 potrebbe trovare le aggiunte troppo semplici quando le si prova importando il proprio salvataggio; fortunatamente, Death Stranding Director’s Cut ha 5 modalità di difficoltà, sufficienti per attirare tutto lo spettro di pubblico. Nel complesso, questa edizione è molto più user-friendly, con un’interfaccia più leggibile rispetto a prima e una dimensione del carattere più grande.
Concludiamo con le aggiunte alla sceneggiatura. Le missioni esclusive per la versione PC, frutto di collaborazioni con gli universi di Half-Life e Cyberpunk 2077, sono tornate e portano un tocco di umorismo non troppo insolito che si integra abbastanza bene con Death Stranding. Potremmo rammaricarci che le nuove missioni esclusive per PS5, quelle di “infiltrazione”, siano troppo brevi e alla fine non portino molto alla formula di gioco. Un’opera così singolare potrebbe non aver avuto bisogno di alcuna aggiunta di script, ma poiché è un contenuto facoltativo, rimane una novità gradita. Infine, giusto un aneddoto, apprezziamo che la presenza abbastanza invasivo della bevanda “mostruosa” è giunta al termine in questa “Director’s Cut”: le lattine che Sam consuma sono ora sostituite dal marchio fittizio “Bridges Energy”, una soluzione molto più logica.
Due anni dopo, Death Stranding rimane un capolavoro. Indubbiamente sempre così divisivo, l’ultimo nato di Kojima Productions offre un’esperienza di gioco unica, trasfigurata dalle capacità di una PlayStation 5 che gli permette di brillare come mai prima d’ora, al punto da mettere in secondo piano i nuovi contenuti inediti. Certo, non tutti sono uguali, ma l’esperienza offerta da questo Director’s Cut è completa, può potenzialmente adattarsi a più profili di giocatori e può potenzialmente attrarre coloro che hanno ceduto a questo fantastico ed esotico viaggio su PS4 e che apprezzeranno (ri)vivere nuove avventure con Norman Reedus nei panni di Sam Porter Bridges.