Una grande avventura nella psiche umana
Cominciamo a dire che Persona 5 è un JRPG, acronimo che sta per Japanese Role-Playing Game: “Gioco di ruolo alla Giapponese“. Sicuramente nella vostra carriera di videogiocatori vi è già capitato per le mani un gioco appartenente a questa categoria. Sapete, cosucce tipo un Final Fantasy o un Chrono Trigger. Tutti quei giochi insomma in cui si esplora un sacco, si vivono storie ricche di personaggi particolari, colpi di scena assurdi e solitamente si combatte a turni. Avete presente, no? Bene. A questa categoria particolare appartiene anche una certa serie chiamata Shin Megami Tensei. Nata ben 30 anni fa con Digital Devil Story per NES, si tratta di una serie molto popolare in patria, che muove milioni e milioni di yen. Pensate che tra sequel e spin-off sono stati pubblicati piú di una cinquantina di giochi, usciti sia su console casalinghe che portatili. Di questi, ben pochi sono arrivati sul mercato occidentale.
Dopo questa piccola introduzione è meglio affrettarsi nel dire che Persona 5 è semplicemente uno dei titoli più completi attualmente disponibili su console, nonché uno dei giochi di ruolo di matrice giapponese meglio realizzati degli ultimi vent’anni, complice una gestazione che non ha proprio voluto subire pressioni da parte di nessuno.
Il team di sviluppo, scrittori, artisti e traduttori a lavoro sulla quinta iterazione dell’ormai prolifica serie Persona si è presa tutto il tempo a disposizione per consegnare ai giocatori quest’ultima perla dalla strabiliante durata, ed io non potevo essere da meno. Con colpevole ritardo vi parlerò di Persona 5 e dei suoi protagonisti, “reietti” della società che decidono attivamente di schierarsi contro quelle catene che da sempre costringono le persone a piegarsi a convenzioni e regole talmente rigide da finire per eliminare il concetto stesso di individualità.
Phantom Thieves of Hearts
Inizia tutto con una fuga rocambolesca. Un ragazzo mascherato scappa da quello che sembra essere un casinò affollatissimo. Si muove con agilità, saltando con grazia da un lampadario all’altro, mentre un gruppo di uomini in completo nero gli stanno alle calcagna. Alcune voci via radio tentano di dargli istruzioni su come andarsene da lì, ma non c’é tempo. Il nemico non gli dà tregua. Due uomini in nero riescono a raggiungerlo e si trasformano in creature mostruose che lo attaccano. Il giovane però non vacilla di fronte al terribile spettacolo: sa bene cosa ha di fronte e sa come difendersi. Evocando a sua volta una creatura che sconfigge con facilità i due mostri, il ragazzo mascherato riprende la sua fuga saltando attraverso una vetrata, ma i tanti uomini in nero riescono ad acciuffarlo.
Condotto in una tetra sala interrogatori il giovane viene pestato e malmenato. Cosa lo aspetta ora? Tutto ciò che può fare è raccontare la sua storia ad una giovane detective interessata al suo caso sperando di riuscire a cavarsela in qualche modo. Sempre che una via d’uscita ci sia…
Questo è solo l’inizio, da qui si dipanerà la storia di Persona 5 che propone una trama ricca di colpi di scena, pathos e situazioni piacevolmente assurde. In breve, seguiremo le avventure di un gruppo di adolescenti chiamati Phantom Thieves of Hearts, che si ritrovano a essere depositari di degli strani poteri che ruotano attorno ad un piano della realtà chiamato Metaverso e delle creature chiamate appunto Persona.
I Persona sono più o meno una specie di “demoni interiori” che determinati individui sono in grado di richiamare e utilizzare per ottenere poteri sovrannaturali. In questo capitolo i Persona sono legati al concetto di “maschera” introdotto con “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello o dal più recente “The Mask” per quanto riguarda la cultura prettamente pop: in pratica la società costringe gli individui a nascondere il proprio vero io e ad indossare dunque una “maschera” che renda accettabile il proprio comportamento agli altri a seconda delle situazioni. Per questo motivo nessuno è mai veramente se stesso, nascondendosi dietro queste “maschere”. Quindi i Persona sono la rappresentazione di ciò che si cela oltre la maschera, ovvero sono un’emanazione della vera personalità di chi riesce ad evocarli. Per fare ciò l’utilizzatore deve strappare la propria “maschera sociale” e far emergere il proprio io: questo lo dota di straordinari poteri che li rendono in grado di “cambiare il cuore della gente”.
Persona 5 è una brillante, e spesso feroce, critica ad una società, quella giapponese, desensibilizzata nei confronti delle nuove generazioni, i cui esponenti sono spesso volutamente intrappolati in ruoli archetipici per far sì che il loro io non possa emergere naturalmente. Ed è così che con la “scusa” di un professore molestatore prende il via una storia che racconta lo scontro generazionale (e culturale) di una gioventù che non si vuole arrendere di fronte ai fitti regolamenti di una scuola, di un quartiere, di una famiglia o di una città, in cui il senso di giustizia è messo continuamente in discussione tra la visione “vendicatrice” del gruppo di eroi e quella più convenzionale a cui la narrativa e la letteratura moderna ci ha abituato.
Pur fondando ancora una volta il suo fascino su un cast di protagonisti stereotipati, ma approfonditi al punto di risultare vivi e coscienti di fronte ad ogni situazione che si para loro di fronte, uno dei punti di forza di Persona 5 è sicuramente il tema portante, il fil rouge che unisce le loro micro-vicende sullo sfondo di una città “da riformare”; non a caso lo staff tecnico ha voluto ambientare questo capitolo in una città reale, in modo da proporre quella che poteva essere una “semplice” storia di super eroi mascherati come un vero e proprio dibattito antropologico che nulla ha da invidiare al più complesso trattato di sociologia incentrato sui vizi e i costumi della modernità in quel di Tokyo.
Molto più di un JRPG
Il titolo Atlus propone la complessità di un mondo sfaccettato attraverso una struttura non poi così dissimile da quella dei due prequel, proponendo ancora una volta una divisione del tempo di gioco in giornate e mettendo alla prova la capacità del giocatore di amministrare il proprio tempo libero fra vita scolastica, affettiva e lavorativa, inframezzando questo vero e proprio simulatore di quotidianità nipponica con sequenze esplorative e battaglie a turni nei “palazzi” e nei “mementos”, costruzioni inserite nel contesto metropolitano che incarnano i desideri e le bramosie degli “adulti cattivi” contro cui gli eroi si schierano.
Tornano ancora una volta i social link, fiore all’occhiello del terzo e del quarto capitolo, dove l’acquisizione di confidenza con determinati PNG (o compagni di squadra) viene ricompensata con bonus e caratteristiche extra da impegnare in battaglia o nella fusione dei persona, ovvero l’emanazione antropomorfa dei desideri e della personalità (maschera) dei protagonisti. Più difficile a dirsi che a farsi, davvero.
Tutta la componente JRPG fatta di statistiche, fusioni di mostri arruolabili e battaglie a turni è influenzata da quella sociale ed è proprio nel relazionarsi fra queste due meccaniche formalmente così lontane che sta la particolarità di questo brand, capace di coinvolgere anche chi non gioca abitualmente RPG grazie al suo potpourri di elementi dungeon crawler, RPG e dating sim; neanche a dirlo, ognuna di queste componenti è studiata a puntino, mutuando dai titoli passati gran parte delle meccaniche che vengono affinate a arricchite in questa nuova incarnazione della serie. In ogni caso, chi volesse approcciare Persona 5 per il suo valore di JRPG a turni può stare sereno: il sistema di battaglia premia ancora una volta l’individuazione dei punti deboli dell’avversario e come da tradizione Shin Megami Tensei, aumentando il livello di difficoltà all’inizio della partita, ci si potrà dedicare alla crescita del più agguerrito team di persona user che si sia mai visto in circolazione. E poi c’è sempre la modalità New Game Plus nel caso ci si volesse sentire completisti dell’ultima ora o semplicemente non si volesse perdere nemmeno un evento fra i tanti proposti dal gioco.
“Steal Back Your Future”
Se dal punto di visto narrativo il titolo riesce ancora una volta a dimostrare l’eccellenza degli scrittori in quel di Atlus, il comparto prettamente ludico non è da meno. Abbandonando i più che dimenticabili dungeon procedurali visti in passato la software house giapponese ha perfezionato anche le fasi esplorative che da sempre rappresentavano il vero tallone d’Achille della produzione, proponendo brevi enigmi ambientali, fasi stealth abbozzate (ma non sempre convincenti) e promuovendo una maggiore coesione stilistica. Persona 5 è senz’ombra di dubbio il capitolo della serie più curato mai pubblicato, nonché il videogioco più visivamente appagante mai realizzato da Atlus. Questo lo si può notare solamente dando uno sguardo ai trailer o alle immagini promozionali che invadono da mesi le pagine web, dove ad una direzione artistica ancora una volta curata da Shigenori Soejima si abbina una costruzione tridimensionale appagante e figlia di quel Catherine che anni fa stupì proprio per bontà visiva i giocatori su Xbox 360 e PS3.
Che lo si giochi su PS3 o su PS4, Persona 5 rimane uno dei videogiochi più “stilosi” attualmente in commercio, dove alla convenzione sempre più popolare del “less is more” quanto si guarda ad indicatori grafici e HUD si è preferito un vero e proprio tripudio di assets bidimensionali di grande valore, con cartelli e scritte che occupano gran parte dello schermo colorando le atmosfere di rosso, bianco e nero, le tre tinte principali che vengono anche utilizzate nell’eccentrica sequenza d’apertura animata. Il cell shading adottato per caratterizzare i modelli dei personaggi dà il meglio di sé nelle brevi – e purtroppo, poco frequenti – scene cinematiche atte a sottolineare i passaggi più importanti della trama, mentre ai box testuali sono convenzionalmente affiancati ritratti dei personaggi in puro stile visual novel.
Se c’è infatti un unico, formale, difetto in questo grande calderone di stile che prende il nome del titolo Atlus è forse proprio la grande mole di testi, tale da far quasi pensare di trovarsi di fronte ad una vera e propria visual novel travestita da JRPG. Bisogna anche ammettere che negli ultimi anni la divisione fra questi due generi è andata via via assottigliandosi, ma è giusta avvisare chiunque decida di avvicinarsi a questo eccellente esponente del genere che dovrà ritagliarsi molto tempo per seguire le vicende dei Phantom Thieves, spesso dovendo richiedere anche uno sforzo ulteriore per non perdere il filo del racconto tra una sessione di gioco e l’altra (fortunatamente è possibile sempre accedere ad una sezione che riassume la storia fino all’ultima giocata).
A coronare una veste estetica ed artistica di grande pregio (anche al netto di qualche scivolone tecnico, specie sul fronte del comparto texture) bisogna premiare lo sforzo del team di compositori guidati da Shoji Meguro, veterano della serie e ancora una volta sulla cresta dell’onda quando si stratta di creare il “mood” giusto per le atmosfere uniche di ogni capitolo della serie. Oltre ad un notevole numero di brani, cantati e strumentali, questa produzione è anche la prima a vantare la doppia traccia audio, da sempre richiesta a gran voce dagli appassionati che in passato si sono dovuti abbandonare alla scena hacking per poter giocare Persona 3 e Persona 4 in lingua giapponese: niente paura, in questo caso basterà scaricare un DLC gratuito (ci sono anche costumi e altre chicche gratuite a pagamento nascoste sul PS Store) e selezionare la traccia audio dal menù opzioni. Non che il doppiaggio anglofono si dimostri poi così inferiore a quello vantato dai precedenti, che rimaneva comunque apprezzabile, ma giocare un titolo dall’estetica simile così come era stato pensato per il suo pubblico di riferimento è tutto un altro paio di maniche.