Il genere survival horror ha spesso offerto esperienze intrinseche di combattimenti, a mani nude o con armi da fuoco, attorno alle quali costruire puzzle e fasi di esplorazione che facevano da contorno agli scontri veri e propri. Con Song of Horror, il team spagnolo Protocol Games ci offre un’esperienza un po’ diversa dal solito, basandosi sui romanzi di grandi autori come Edgar Allan Poe, H. P. Lovecraft e M. R. James. Il protagonista del gioco è lo scrittore Daniel Noyer, che rientra a casa dopo una lunga giornata. Riceve una telefonata dal suo capo, che lo informa della scomparsa dell’uomo che avrebbe dovuto pubblicare il suo romanzo, ma che sembra essere scomparso nel nulla assieme alla sua famiglia. Su richiesta del capo, Daniel si reca in macchina alla residenza in cui l’uomo vive per indagare sulla faccenda ma, appena entrato, scopre una villa completamente buia e priva di luce elettrica, apparentemente abbandonata. Ed è qui che inizia l’avventura, che ci vedrà nei panni di diversi personaggi alle prese con i misteri legati ad un misterioso carillon.
Non aprite quella porta!
Iniziamo dicendo che il gioco è suddiviso in capitoli, in ciascuno dei quali dobbiamo scegliere uno dei personaggi disponibili ed immergerci nell’esplorazione delle location nel tentativo di uscirne indenni. Purtroppo l’esperienza di gioco è completamente in Inglese e senza sottotitoli, il che rende difficile un approccio per chi non conosca bene la lingua. In Song of Horror scordatevi di avere più vite a disposizione o di resuscitare con un respawn istantaneo perchè, quando un personaggio muore, la sua fine è permanente e dobbiamo scegliere un altro personaggio disponibile per quel capitolo, rientrare nella location e, se possibile, recuperare lo zainetto contenente gli oggetti lasciati cadere dal personaggio morto in precedenza, la cui posizione viene indicata nella mappa di gioco. Se dovessero morire tutti i personaggi, saremo costretti a rifare da capo l’intero capitolo. La scelta del Permadeath è sicuramente coraggiosa, ma è assolutamente da apprezzare poichè obbliga il giocatore a concentrarsi al massimo per evitare qualsiasi leggerezza o azione fatta con sufficienza, evitando inutili rischi.
È importante esplorare a fondo e in ogni angolo delle stanze che visitiamo perchè l’oggetto che cerchiamo potrebbe essere proprio sotto i nostri occhi col rischio di non illuminarlo, non raccoglierlo e girare a vuoto per la casa per altre due ore alla sua ricerca. L’importanza di alcuni oggetti è fondamentale perchè, oltre a giornali e lettere da leggere che arricchiscono la trama e la sua evoluzione, ci sono oggetti da combinare con altri per ottenere l’oggetto desiderato da poter utilizzare in qualche precisa situazione di gioco, oltre ad alcune chiavi che aprono talvolta una sola porta in tutto l’episodio, indispensabile però per proseguire l’avventura.
Il gameplay è incentrato sull’esplorazione pura, priva di nemici da affrontare a colpi di coltello o sparando alla vecchia maniera. Il nemico è però in agguato, può prendere forme diverse ed attaccarci in vari modi con un’IA a generazione procedurale, quindi in modi e tempi del tutto inaspettati e, talvolta, con una frequenza diversa dagli attacchi precedenti. Per esempio, all’inizio del primo episodio ci troviamo ad esplorare una villa immensa e buia, con Daniel munito soltanto di una torcia. Qui impariamo le prime nozioni di gameplay, con la torcia che possiamo muovere con l’analogico destro per mettere in focus gli oggetti attorno a noi. Ciò è importante perchè, se ad esempio illuminiamo in alto, non vediamo nè possiamo prendere un oggetto in basso e viceversa, mentre illuminandolo compare l’icona del pulsante da premere per raccogliere l’oggetto, guardarlo o leggerlo a seconda ovviamente della tipologia di oggetto in questione. Il nemico è l’oscurità stessa, il buio, che può attaccarci in qualsiasi momento e in modi diversi.
Durante i primissimi minuti non ci sono attacchi ma, raggiunto un certo punto della casa, una cutscene ci insegna a gestire la prima tipologia di scontro col nemico: la porta dalla quale siamo appena entrati viene attaccata all’esterno dall’entità oscura che cerca di entrare, e dobbiamo correre e respingerla con una serie di QTE, premendo rapidamente X per tenerla chiusa e, in più occasioni, premere R2 al momento giusto per sbatterla con una spallata, ripetendo il tutto più volte per far sì che l’entità si arrenda e si possa finalmente chiudere la porta e cessare l’attacco. Impariamo anche un altro aspetto importante: da qui in avanti, quando ci avviciniamo ad una porta, sarà bene tener premuto Triangolo per appoggiare l’orecchio ad essa ed ascoltare eventuali rumori dall’altra parte, momento durante il quale scende a zero qualsiasi musica e rumore di sottofondo: se non sentiamo nulla, la stanza è sicura e possiamo entrare senza rischi; se sentiamo rumori, pianti o qualsiasi altra cosa, sarà meglio non rischiare di entrare o potremmo essere presi all’istante dall’entità nemica e far morire quel personaggio che, come già detto, resterà morto in modo permanente.
Oltre alle porte attaccate dall’entità di cui abbiamo parlato poco fa, ci sono altre tipologie di scontri col nemico che prevedono meccaniche diverse. Ad esempio, mentre camminiamo tranquillamente in un corridoio o esploriamo una stanza, ogni tanto la musica diventa improvvisamente terrificante e le mura si riempono di chiazze buie ramificate, il nostro personaggio lancia un urlo e pronuncia una frase di paura, e abbiamo un tempo limitato per nasconderci da qualche parte e calmarci. Qui diventano essenziali alcuni elementi trovati durante l’esplorazione, indicati permanentemente nella mappa con un occhio sbarrato, come un armadio dentro il quale nasconderci oppure un tavolo o un letto per metterci sotto. Fatto ciò, la telecamera inquadra in primo piano il personaggio impaurito che cerca di accendere la torcia o la candela in suo possesso, iniziando una serie di QTE con una meccanica pulsanti simile alla porta da chiudere, con la variante di premere assieme L2 e R2 al momento giusto per rallentare i battiti del cuore e far calmare il nostro personaggio. Riuscendo nell’impresa, questi esce dal nascondiglio e scopre che il buio è completamente scomparso, chiedendosi se si trattasse di un’allucinazione.
Scopriamo un’altra meccanica contro un nemico a noi ben visibile ma completamente cieco, che appare di tanto in tanto ad una certa distanza da noi, obbligandoci con un altro QTE a trattenere il respiro ed evitare di tossire, cosa che lo metterebbe in allerta facendolo avvicinare rapidamente e che, sbagliando più volte, gli indicherebbe la nostra posizione esatta facendoci attaccare in maniera letale, perdendo quel personaggio. In questi ed altri momenti del gioco entrano in gioco fattori come i parametri del singolo personaggio come velocità, resistenza e sanità mentale, diversi per ciascuno.
Io lì non ci vado, ho paura!
Il lavoro svolto da Protocol Games è di ottima fattura, nonostante qualche limite nella creazione dei personaggi (soprattutto il volto poco espressivo) e qualche sbavatura grafica, la prima delle quali avviene all’inizio del gioco quando Daniel attraversa letteralmente una porta passandovi attraverso. Limiti e piccoli errori a parte, fin dal nostro ingresso nella prima location ci accorgiamo di trovarci di fronte ad un titolo che mescola il terrore psicologico di esperienze come Resident Evil, Silent Hill e Until Dawn. Ogni episodio offre una location davvero immensa, suddivisa in almeno due piani da esplorare e con tante stanze da visitare, controllando sempre di non sentire alcun rumore al loro interno prima di entrare. Non mancano ovviamente diversi puzzle da risolvere come cassetti bloccati, porte da aprire con una certa chiave, scoprire la combinazione di una cassaforte, trovare i fusibili per riattivare la corrente, recuperare gli oggetti necessari ad accendere il fuoco di un camino e così via. Per nostra fortuna, la mappa è ben disegnata ed indica in modo chiaro i nomi delle singole aree, le porte aperte, quelle chiuse a chiave o bloccate, alcuni punti in cui indagare ed altro ancora.
L’esperienza di gioco viene arricchita da una soundtrack che appare a tratti, spesso con qualche nota di piano che sembra andare a perdersi negli oscuri corridoi attorno a noi, e qualche rumore proveniente da chissà dove che ogni tanto ci fa quasi pensare ad un nemico vicino, talvolta facendo vibrare il controller ad intermittenza per segnalarci che quest’ultimo potrebbe essere in una delle stanze vicine, e che dovremo controllare bene ogni porta prima di entrare. Ma se l’accompagnamento musicale “a singhiozzo” e qualche colpo sul muro di chissà chi ci fa sudare freddo, è la realizzazione tecnica delle location a rappresentare il piatto forte che trasmette paura e tensione fin dall’inizio di ogni capitolo. Fatta eccezione per alcuni posti all’aperto come un balcone o un piazzale, le altre aree da esplorare sono molto buie e la fonte d’illuminazione in nostro possesso (come una candela o una torcia) è determinante non solo per illuminare gli oggetti attorno a noi, ma anche per creare quella sensazione di essere completamente impotenti ed abbandonati a noi stessi contro un nemico invisibile oppure nascosto dietro a chissà quale porta, pronto ad attaccarci. Il bagliore della nostra piccola illuminazione crea così ombre che, a guardarle proiettate su muri e pavimenti, aumentano esponenzialmente l’inquietudine già di per sè tenuta alta da rumori una-tantum e da un silenzio attorno a noi che nasconde chissà quali insidie. In alcune sporadiche occasioni, aver risolto un puzzle o aver trovato un oggetto sblocca un evento in cui vediamo ad esempio una figura oscura dietro di noi che scappa in una stanza, qualcosa che sembra muoversi nell’oscurità, sentire qualcuno che piange all’interno di una stanza ed altri eventi simili.
A conti fatti, Song of Horror è un survival horror prevalentemente votato all’esplorazione e alle componenti rpg come cercare oggetti e combinarli tra di loro, risolvere puzzle in cui l’intuito e la lettura di alcuni documenti sparsi per le location sarà essenziale, ed imparare ad orientarsi per prevenire gli improvvisi attacchi improvvisi del nemico. Viene meno la componente action che, come accadeva in Until Dawn, è sostituita da QTE in cui dobbiamo premere uno o più pulsanti rapidamente o in perfetta sincronìa per un certo tempo. Paradossalmente a quest’ultimo e ai più noti capitoli di Resident Evil, nonostante in Song of Horror non ci siano stanze nè corridoi infestati da nemici che ci attaccano subito, il progetto di Protocol Games sembra fare ancora più paura: siamo completamente disarmati e possiamo essere attaccati dalle entità malvagie in qualsiasi momento grazie all’IA procedurale, con meccaniche diverse da altri survival in cui tutto è già preimpostato in un certo modo. Riteniamo che il vero punto di forza di Song of Horror sia proprio questo, l’assoluta casualità di alcuni scontri col nemico che rende il gioco imprevedibile ad ogni partita. Se sapete a memoria gli altri survival, provate Song of Horror ed avrete sicuramente qualche emozione inaspettata in più. Senza rabbrividire troppo sotto un tavolo o dentro l’armadio… meglio uscirne vivi!