Rieccoci qui ragazzi: dopo Man of Medan, Little Hope e House of Ashes ci ritroviamo insieme oggi per la recensione di The Devil in Me, ultimo capitolo che chiude la prima stagione della The Dark Pictures Anthology! Ebbene sì, i ragazzi di Supermassive e la Bandai Namco tornano a tormentare i nostri sogni con questo titolo che vuole chiudere in bellezza ma purtroppo ci riesce solo in parte. Ma andiamo con ordine, gustatevi intanto il trailer di presentazione del gioco:
Un serial killer raramente cambia metodo
Uno dei pregi più importanti di The Devil in Me è senza dubbio il suo contesto e la sua ambientazione: per quest’ultimo capitolo gli sviluppatori hanno deciso di abbandonare completamente il sovrannaturale per incentrare invece la storia su una figura realmente esistita. Stiamo parlando di Henry Howard Holmes-abbreviato H.H.Holmes-un dottore di Chicago del diciannovesimo secolo che durante i festeggiamenti per i quattrocento anni dalla scoperta dell’America divenne in breve tempo uno spietato serial killer con al suo attivo circa 200 omicidi, di cui però solo 27 accertati. Si tratta di una figura piuttosto importante oltreoceano dal momento che è a tutti gli effetti il primo efferato omicida della storia degli Stati Uniti e l’aura di mistero che ancora avvolge la sua persona lo hanno senza dubbio reso parte piuttosto importante della storia e cultura del paese a stelle e strisce.
Dopo l’ormai classico prologo il gioco ci fa subito conoscere i 5 protagonisti che anche questa volta dovranno cercare di salvare la pelle: Charlie, Mark, Erin, Jamie e Kate. Questi individui costituiscono una troupe televisiva che vuole portare avanti il suo show horror mozzafiato questa volta scegliendo come luogo delle riprese un Hotel che dovrebbe riprodurre fedelmente proprio il Castello della Morte di Holmes. I ragazzi verranno invitati sul posto da un uomo fin troppo generoso ma si renderanno conto ben presto che nulla è come sembra: nell’arco delle 6-8 circa richieste per completare il titolo saranno messi a dura prova e lo saranno anche in particolar modo in rapporti tra di loro. Bisogna dire che il cast non è particolarmente memorabile ma comunque in linea con le produzioni di questo genere di giochi, da segnalare l’idea di differenziare i personaggi dando loro un oggetto caratteristico. Poteva essere sfruttata meglio la cosa, ma può essere un interessante punto di partenza per il proseguo della serie ed era comunque doveroso citarlo in questa sede. Intendiamoci non stiamo parlando della stessa meccanica di un Obscure o di un Resident Evil Outbreak come importanza a livello di gameplay ma crediamo comunque che si un tasto sul quale si potrebbe battere molto anche in futuro.
Globalmente la storia intriga abbastanza e si basa su dei particolari documenti che sono spiegati attraverso cutscene come visto precedentemente in House of Ashes: sicuramente il contesto storico dà spessore al tutto però in generale forse si poteva fare meglio, magari con una migliore scrittura dei personaggi e del principale antagonista. Una storia senza infamia e senza lode insomma quella di The Devil in Me che sicuramente, come previsto, non è all’altezza né di The Quarry, né tanto meno di Until Dawn rimanendo sulle altre fatiche degli sviluppatori.
Gameplay ed esplorazione
Parlando invece del gameplay anche per questo capitolo i ragazzi di Supermassive hanno deciso di non distaccarsi troppo dai canoni dell’Antologia e se siete come noi veterani della saga sapete bene che gli sviluppatori ad ogni titolo perfezionano sempre di più la formula implementando qualche variazione qua e là senza però variare troppo la sostanza. Se in House of Ashes la componente action era molto accentuata in questo caso assume parecchia importanza l’esplorazione delle varie stanze dell’Hotel: cercate sempre di dare un’occhiata approfondita in tutte le locazioni di questa avventura grafica e state molto attenti perché come al solito ci saranno diversi QTE da azzeccare per cercare di salvare la pellaccia dei nostri sventurati protagonisti.
A parte questo fanno in loro ritorno, naturalmente, anche le ormai classiche premonizioni-stavolta sotto forma di piccoli quadri che ritraggono ossa o organi umani-che però purtroppo si dimostrano poco utili per comprendere quali scelte fare e dal momento che anche il Curatore non è propriamente al suo meglio è doveroso sottolineare che in parte la Dark Pictures Anthology inizia ad essere un po’ statica e sicuramente necessiterebbe di qualche innovazione in più per dare una bella inversione di marcia magari già dal prossimo gioco. Intendiamoci, il titolo continua a coinvolgere tantissimo ed è come sempre veramente divertente da giocare soprattutto in multiplayer sia per le sue atmosfere che per il fatto che i teen horror trash sono uno spasso ma siamo ormai al quarto capitolo e la speranza era di chiudere col botto e così non è stato.
Fin che la barca va, lasciala andare
Forse fino a questo momento il quadro non vi sarà sembrato esaltante ma purtroppo anche per quanto concerne il lato tecnico vanno registrati parecchi alti e bassi: il motore grafico non è troppo diverso dagli altri capitoli e funziona molto bene per la maggior parte delle volte anche grazie al fatto che tiene fissi gli fps a 30. I volti dei personaggi invece a livello di espressioni non convincono appieno senza dimenticare alcuni pop up che risultano talvolta fastidiosi: niente che rovini l’esperienza ma è giusto riportare questi problemi quantomeno per completezza di recensione.
Per chiudere sul lato tecnico della produzione il sonoro invece può contare su alcune musiche molto belle-soprattutto per l’introduzione e il finale-mentre per quanto riguarda il doppiaggio in italiano anche in questo caso è stato fatto molto bene anche se, almeno in attesa di una patch correttiva, si segnalano diversi problemi sul fissaggio audio visto che ci sono svariate frasi che vengono pronunciate in inglese senza motivo. Per carità fa piacere che i nostri protagonisti siano poliglotta ma, soprattutto in titolo di questo genere, dà un po’ fastidio constatare che ci siano diverse sviste in questo senso.
Conclusioni
In conclusione The Devil in Me, capitolo finale della prima stagione della Dark Pictures Anthology, si attesta più o meno in fondo ai primi quattro capitoli a livello di qualità-se la gioca a mio parere con Man of Medan– soprattutto perché le aspettative erano più alte e la speranza era di chiudere col botto. Così non è stato a causa di alcune magagne di troppo del lato tecnico e la mancata volontà di innovare e migliorare significativamente alcuni aspetti di gameplay: detto questo visto il classico prezzo di 30 euro o anche meno vi consigliamo di giocarlo, specialmente se avete apprezzato gli altri e più in generale siete fan dei lavori di Supermassive. Se non altro per vedere i vari finali e alcuni intriganti segreti che si sbloccano non appena conclusa l’avventura: mi raccomando guardate con attenzione fino alla fine perché vi confesso che sembra davvero intrigante la nuova strada che si è scelto di percorrere per il proseguo della saga. Ovviamente non vi spoileriamo nulla in questo senso ma ne vedremo delle belle!