Siamo pronti finalmente, anche noi di Nbg, per buttarci nella nuova versione di Dragon’s Crown, titolo uscito originariamente per Ps3 e quindi rilanciato sulle Ps4 di tutto il mondo nel suo formato Pro. Personalmente é stato laborioso recensire questo gioco per via di vari elementi molto riempitivi che ne hanno richiesto un’attenta e approfondita analisi che coinvolge anche la limpida constatazione che si tratta di un’ennesimo prodotto in formato rimasterizzazione. Format che ha prodotto in più casi operazioni di mercato controverse durante questa generazione videoludica.
Oro bollente
Per fortuna Dragon’s Crown Pro sta tra gli esempi buoni di rimasterizzazione di un titolo. Snocciolando i validi motivi che mi hanno portato ad asserire quanto precede, per iniziare, le musiche dell’iterazione sono state arrangiate nuovamente per l’occasione con una vera e propria orchestra sinfonica e il risultato ad orecchio si sente: una sintesi dove ogni singolo strumento combacia armonicamente con l’altro in un tripudio molto apprezzabile e sicuramente superiore a quanto ascoltato in passato. Epica, barocca in tutto il suo pieno regime e concorde a quelli che sono i temi opulenti legati al ritrovamento della potentissima corona del drago.
In secondo luogo il formato in 4k concede degli input carini al giocatore con, per esempio, una apprezzabile profondità di campo, riuscendo a fare il suo nel computo totale con una puntualità sufficiente. Infine il titolo originale, andando in giro per i punti di vendita e compravendita, é presente in pochissimi pezzi a un prezzo che copre l’80% di una copia al dettaglio di questo rilancio.
Considerando tutto ciò e il consistente apprezzamento sull’avventura targata Atlus nel 2013, con un ottimo numero di persone pronte a quanto pare a giocarlo dopo averne sentito parlare molto bene, é stata una buona mossa riportarlo all’attenzione della platea. Una buona scelta proposta a un prezzo giusto vista anche la mole di contenuto letteralmente spaventosa e di qualità pur parlando alla fin fine sempre di un prodotto che é una riproposizione con solo qualche aggiunta e un piano di mercato intelligente.
Ammennicoli di abbondante fattura e parenti
Uno degli aspetti più degni di attenzione del gioco é sicuramente legato a una grafica bizzarra ed estrema nelle proporzioni degli abitanti delle Hidelands, che calca forse un pelo di troppo il riferimento a un’apprezzamento erotico o legato all’ immedesimazione machista un po’ elitario.
Questo tipo di grafica dovrebbe essere molto più apprezzata infatti dai nerd della vecchia scuola, figli dell’opulenza degli anni ’80 e primi ’90, di cui pur facendo essendone la voce fuori dal coro ne subivano indubbiamente il fascino che poi, a causa probabilmente di un’eccessiva timidezza, si godevano tramite i loro media preferiti come fumetti e appunto i videogiochi.
Entrambi i media citati, a livello grafico nel gioco però non si esprimono con le tante linee morbide dell’epoca a cui si ispirano, ma con un tratteggio che si rivela in buona parte più legato a linee spigolose e più squadrate, donandosi al giocatore in maniera molto moderna al contatto visivo. Insomma non si tratta di un tuffo nel passato vero e proprio ma di un omaggio al ricordo dello stesso. Omaggio che si esprime tramite la chiave di lettura del presente per non farlo sembrare antiquato.
Quello che però non mi é così ben chiaro é il confine tra voglia di distinguersi del creatore George Kamitani e quella di rappresentare qualcosa di presa sicura a livello erotico o mitico sul pubblico.
La sintesi tra questi due poli evidentemente derivabili, insomma, é riuscita a intermittenza e su personaggi ben riusciti e armoniosi pur con delle forme abbondanti, se ne vanno ad affiancare altri troppo evidentemente azzardati nelle stesse.
Questa ipertrofia di elementi particolari del corpo nel disegno dunque vanno a riversarsi nella stessa ipertrofia mitica di un altro elemento particolare, questa volta un oggetto: quella corona del drago che é il leitmotiv della storia, compattandosi e fondendosi con la narrativa stessa. Una corona molto potente e molto desiderata nel contesto sviluppato da Goerge Kamitani, che però conserva, senza svelare troppo, degli attributi estetici che strizzano l’occhio anche alla sua essenza magica e un po’ fuori dal tempo in maniera molto coerente.
I personaggi vanno a questo punto a inserirsi in ambienti che sono molto curati e ben colorati, rimandando sempre al concetto che é il particolare e quindi degli elementi accessori e barocchi che fanno sempre la differenza nel gioco e collegati al potente oggetto che da il nome al titolo e il là all’avventura. Ci si ritrova per esempio a scorgere anche capitelli in lontananza che pur non essendo notabili mentre si sta giocando, sono dettagliati con motivi simil dorici molto complessi, pezzi di colonne caratterizzati da glifi molto particolari, castelli in lontananza curati con ammennicoli di complessità maniacale e tanto altro.
Passando invece nel dettaglio al già accennato uso del colore e quindi la sua distribuzione, il lavoro risulta abbastanza buono e studiato in maniera tale da non far impastare con l’ambiente molto ricco di sfumature personaggi che seguono a livello cromatico quella sci, ma forse si é un tantino esagerato nella voglia di far apparire sempre tutto chiaro e ordinato.
Se si nota infatti, tutti i pg controllabili e in prima persona sono dotati di colorazioni dalle sfumature più semplificate e combinazioni accese rispetto a quelle dei fondali decisamente più terree, più complesse e spente in modo da non impastarsi tra di loro in qualcosa di confuso e poco armonioso. Non manca però un senso generale di scollamento tra personaggi e ambiente come se gli uni non appartenessero all’altro. Questo probabilmente é dato dal fatto che i primi possiedono una colorazione troppo poco dettagliata e piatta rispetto al secondo non integrandosi vicen
devolmente in maniera ottimale. Insomma, sembra un po’ che delle figurine avulse da un contesto si muovessero al suo interno interagendoci. Un effetto un po’ fasullo e leggermente rivedibile.
Il tutto quindi, tra personaggi molto gonfi e ambienti altrettanto gonfi, collegati a un oggetto gonfio di potere e leggenda, é ben messo insieme in senso logico, ma non riesce con molta probabilità a soddisfare giustamente una platea di persone più ampia che vada troppo in là il terreno nerd.
Il nodo in questo caso risulta davvero difficile da sbrogliare appieno a causa di una composizione singolare delle immagini che portano al rigonfiamento di attributi sessuali e non in maniera, come giù asserito, tratti troppo esagerata, tanto da essere con il confronto con la realtà a più riprese sgraziata.
Mi sento però di premiare l’originalità del gruppo Vanillaware, che in un mare di desing artistici in campo videoludico poco riconoscibili riesce a spiccare con questo gioco. Titolo che sicuramente accende la mente di altri artisti in bene o in male, e che riusce magari a fare contenta in toto tutta quella platea,seppur non troppo grande, che ha potuto vedere forme così generose magari solo in materiale piccante e non così strutturato come vedremo tra qualche riga e “serio”.
Gamepad per guerrieri sfaccettati
La mappatura dei comandi di DCP sul controller di Ps4 fa capire quanto amore e dedizione il team di sviluppo abbia dedicato al gioco del 2013, snodandosi bene anche se in maniera leggermente troppo piena per via della profondità di azioni eseguibili, sulle varie abilità dei vari guerrieri selezionabili (sei in totale, da poter selezionare contemporaneamente in una partita) tutti diversi e con innumerevoli attacchi personalizzati e abilità migliorabili e da poter mescolare tra di loro per compiere agilmente, combo spettacolari e a volte inaspettate.
Per descrivere quindi in maniera puntuale una porzione utile delle buone cose messe su da Vanillaware in maniera pratica, si prenderanno ad esempio solo due tipologie di guerrieri, il cavaliere e la maga, che saranno un corposo assaggio, si spera convincente di quello che sono riusciti a fare gli sviluppatori.
Partendo dalla levetta analogica, infatti, se avesse incluso camminata e corsa in base al livello di inclinazione, il giocatore moderno che magari fosse stato allettato dall’acquistare il titolo, oltre l’appassionato, avrebbe spinto con decisione la stessa, abituato com’é a cannibalizzare i propri prodotti di svago interattivo.
Questa velocità non avrebbe permesso di avere il tempo necessario, visto che in caso di corsa si superano davvero in un maniera troppo repentina, di osservare stanze sempre abbastanza piccole nella concezione mentale per l’ovvio sistema bidimensionale a scorrimento e i limiti dello schermo, per trovarvi vari segreti. Segreti che a volte sono davvero poco notabili in corsa perché si confondono con l’ambiente dipinto, come certe porte chiuse a chiave alternative. Ambiente dipinto che per deformazione da giochi bidimensionali da sempre la sensazione primaria e in tempi brevi di non essere interattivo e quindi ignorabile.
Era necessario per ovvi motivi di progettazione per coprire eventuali successi magari non troppo preventivati oltre l’appassionato di genere, spingere il giocatore a ponderare con una camminata lenta obbligatoria, tramite la levetta, dove si stava trovando in modo tale da potergli far godere appieno il gioco nella sua profondità già dalla prima run.
Sicuramente una mossa vincente, insomma, anche se un po’ forzata nella sensazione generale per un lasso di tempo che può starci, visto che la quasi totalità dei videogiochi odierni, se si spinge la leva sinistra a fondo, fanno correre il personaggio comandato.
Si ha la sensazione aleggiante, in definitiva, almeno nelle prime ore di gioco, che sia stata tolta ingiustamente qualcosa che appartiene al giocatore moderno per abitudine nel ritrovarla davvero sempre, salvo rare eccezioni. In ogni caso si tratta di una scelta di design incontestabilmente raffinata il più possibile per essere comoda e funzionale al tipo di gioco.
A questo punto la corsa o meglio, lo scatto, viene spostato sul tasto quadrato, se questo é premuto a lungo mentre ci si sposta, legandosi a un altra funzione dello stesso: i colpi primari dell’arma principale. Tutto ciò, anche se può sembrare insensato, é pratico e divertente oltre che logico perché fondamentalmente lo scatto non é utile per l’esplorazione ambientale, ma per le battaglie, che essendo dotate di ovvio, giusto e spettacolare dinamismo infuso dal genere di gioco, serve per sostenere l’altra azione per le battaglie legata ai fendenti primari.
Le due azioni sono alla luce di ciò sono davvero intimamente connesse e il loro mix dunque permette di infliggere colpi in maniera tattica con celerità con le varie armi bianche o magie.Rendendosi conto di quanto la funzione sia vicina all’essere utile a dare più fendenti possibili in sicurezza rende praticamente naturale l’accettare che sia implementata nello stesso tasto della funzione cardine di attacco dell’ arma principale.
Certamente, continuando, il quadrato é anche il simbolo dell’oggetto solido inserito in un tasto principale, molto premuto, del controller e quindi é normale che ricordi istantaneamente il mezzo giusto per mollare gli attacchi più frequenti e sicuri. Oltretutto il simbolo del quadrato ricorda un blocco, un’ostacolo e quindi se tenuto premuto a lungo senza toccare altro, blocca magari il personaggio per fargli recuperare mana o per alzare gli scudi, fermarsi e quindi difendersi. Davvero non male, insomma.
Come avrete capito la mappatura di Dragon’s crown é davvero profondissima e paurosamente stratificata, e ai tasti esemplificativi descritti corrispondono puntualmente tutti gli altri. Immediata nell’assimilazione e per questo il vero asso nella manica del progetto di Kamitani per consegnare al pubblico un gioco sia profondo ma imparabile in fretta visti i tempi molto veloci e multitasking che corrono nella vita di tutti i giorni. Un sistema talmente intriso di funzionalità che però rischia di far seriamente rimuovere alla mente senza alcun problema qualche funzionalità lungo il cammino.
Varietà mostruosa in una casa confortevole e non solo
Dragon’s Crown é davvero pieno di creature che si parano di fronte al cammino degli eroi alla ricerca della corona e la varietà tra lucertoloni, orchi, viverne, scorpioni, goblin e altro ancora, se non prettamente originale é sempre ben contestualizzata in base primariamente al fantasy tradizionale e in secondo luogo allo scenario che si sta affrontando. Ad esempio nel tutorial (molto ben fatto e celere) si affronta un essere da brutti sogni che é più affiancabile a luoghi con tendenzialmente poca illuminazione come un orco, e infatti, il luogo in cui avviene lo scontro con la bestia é una sorta di castello diroccato evidentemente più composto da parti oscure. Nessun nemico insomma é mai fuori posto, e la sensazione di armonia e integrazione generale, limata al millimetro é assolutamente mirabile.
Le battaglie che si svolgono all’interno dei vari quadri di battaglia sono reattive grazie alla bella disposizione dei tasti, con ottime collissioni e pattern all’altezza che spiccano particolarmente nelle boss fight, dove sarà sempre necessario studiare bene le mosse personalizzate del bestione di turno per cercare di avere la meglio. Peccato però che a grandi linee ci si possa ritrovare più volte in situazioni a schermo abbastanza caotiche, dovute a troppi personaggi a schermo, che insieme agli effetti grafici possono fare perdere di vista il proprio personaggio più di una volta. In ogni caso non si tratta di una problematica talmente grave da inficiare quella che é la godibilità generale molto buona degli scontri.
Soddisfacente anche la varietà dei livelli: ci si muove tra borghi, le già citate, rovine, sotterranei, città dorate e altro ancora, per rinfrescare sempre visivamente il paesaggio e poterlo ammirare nella sua dovizia di particolari. Il titolo é stato tacciato, a proposito di paesaggi che richiamano fortemente il ema della quantità dei livelli disponibili, di essere corto.
Ma credo sia naturale valutare un titolo come corto o esiguo di livelli se non si prova a capire come funzionano in relazione al resto di quello che propone.
In realtà tutti gli intenti del team di sviluppo, indicati fortissimamente dall’aver indirizzato il giocatore a dare ampio spazio all’ esplorazione tramite i movimenti lenti per mezzo del tocco del solo analogico, ha cercato di trovare un equilibrio tra ricchezza e quantità degli stessi livelli, riuscendoci in pieno.
E non é importante in questo senso che molti item vari di cui le mappe traboccano non verranno mai scoperti, a un certo punto. Una volta poggiato il pad per chiudere definitivamente con il gioco, ci si accorge senza mezze misure di aver affrontato un’avventura piena e ricchissima, stimolante, divertente e appagante, dovuta anche alla rotazione di personaggi personalizzati alla perfezione e ben implementati nel gameplay che disponendo di abilità espandibili in maniera davvero ragguardevole allungano ulteriormente in maniera proficua e interessante le decine di ore passate sopra il gioco a cercare qualcosa invece che un altra o a sguainare la spada.
I menù si dimostrano abbastanza funzionali, così come i negozi dove scegliere delle abilità passive, pozioni e strumenti magici, ma si nota anche qua una certa opulenza, con molta probabilità volontariamente tematica con quella del gioco, ma in questo caso non troppo benefica che mette d’avanti davvero troppi slot di selezione, facendo sentire l’utente a volte un po’ spaesato in un mare magnum di listoni non troppo pratici e quindi celeri da scorrere.
A livello prettamente narrativo invece il titolo non funziona granché bene, per varie ragioni legate a motivi che potrebbero seriamente essere validi per molti, anche per una buona fetta di appassionati e nostalgici. Pur avendo un doppiaggio molto pomposo, tanto per rimarcare la solita grandezza in tutto e per tutto di cui si fregia, sopratutto per rimarcare compattezza tematica.
Partendo dall’introduzione testuale, bisogna avere un po’ di pazienza prima di accedere all’avventura vera e propria. Ahimé si tratta di una scrittura abbastanza piatta, prevedibile ed evidentemente riciclata da molto altro visto in vari media disponibili, non aiutando il gameplay a brillare ancora di più, anche se si sostiene perfettamente sulle sue gambe.
Leggere così tanto già all’inizio, qualcosa tra l’altro di così poco interessante é una piccola martellata, rigorosamente eseguita con un martelletto medico, alla nuca del videogiocatore moderno, molto veloce ed impaziente se sta fermo con le mani in mano senza che i suoi sensi vengano stimolati con movimenti veramente rilevanti per i tempi a schermo, ma tutto sommato si riesce a sopravvivere e ad accedere a quello che é davvero importante in Dragon’s crown legato al gioco vero e proprio.
A peggiorare la situazione intervengono però le varie cutscene statiche, che sicuramente si distinguono da tante altre per la particolare animazione respiratoria mostrata dai personaggi, per esempio, cementando ad ogni modo comunque un certo immobilismo che fa prudere le mani in maniera incredibile per dirigersi verso il salto che permette di saltare nella maniera più veloce possibile tanta rigidità.
La possibilità che questo sistema potrebbe anche non piacere, oltre al pubblico moderno anche a una ragionevole fetta di appassionati é riconducibile al fatto che gli stessi, tramite una vita moderna a cui si sono dovuti adattare, verrebbero catapultati in qualcosa di totalmente opposto nella sua immobilità. Immobilità che potrebbe davvero risultare avulsa e incompatibile, se non irritante, al ritmo sostenuto giornalmente.
Una scelta del genere quindi rischia di non coinvolgere bene nella narrativa queste fette d’utenza e oltre, a cui può dare la seria impressione di fargli sprecare tempo non facendo parte dei suoi ritmi di vita e quindi poco immersiva perché non corrispondente all’amministrazione temporale moderna, parte importante della vita stessa, da cui trae emozioni.
In coda é giusto parlare anche un attimo di come il gioco si comporta tramite il comparto multiplayer e il livello di sfida. Nulla da dire di negativo in questo senso, visto che il primo si rivela sempre incalzante in cooperativa, capace di mantenere sempre alta l’attenzione grazie alla sua spettacolarità, varietà, accuratezza e precisione nel sistema di controllo, totalmente al servizio o quasi degli sforzi del giocatore per migliorarsi. Un servizio impeccabile messo a disposizione del videogiocatore da Vannilaware che é cementato da una difficoltà di default, quindi normale, alquanto ben bilanciata e stimolante.
Ad armi riposte…
…posso dire che sicuramente Dragon’s Crown Pro é in generale un ottima operazione, venduta a un prezzo consono, legata a un titolo molto qualitativo con a disposizione una valanga di contenuti, e una cura davvero maniacale per il dettaglio e qualche novità. I contro di una certa rilevanza (comunque non così influenti) sono legati a qualche aspetto della grafica, alla narrativa in toto, alla confusione in diverse sessioni nelle battaglie, e alla vagonata davvero imponente di scelta nei controlli che ne fa nel tempo scordare un po’. Per il resto, un titolo rispettabilissimo che si fa forte di esperienza e passione cristalline
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