In un genere in cui la saga di Resident Evil sembra regnare incontrastato, nonostante qualche mezzo passo falso fatto ormai anni or sono, potrebbe sembrare difficile trovare qualcosa di alternativo in grado di suscitare il nostro interesse. Per nostra fortuna, non è sempre così. Dopo il buon Daymare 1998, che ha saputo trasmettere non poco terrore nelle menti degli appassionati, Invader Studios ci riprova con questo sequel che sa coinvolgere, ma con più di una riserva. Parliamo di questo Daymare: 1994 – Sandcastle.
1994, l’orrore ritorna
I fatti si svolgono nell’Area 51, location che non promette niente di buono. Controlliamo una protagonista femminile, l’agente speciale Reyes, appartenente all’organizzazione H.A.D.E.S. Durante alcuni esperimenti, il governo americano ha perso i contatti con gli scienziati che sembravano aver scoperto un’interessante lega metallica.
Ha quindi inviato ad investigare un gruppo di soldati scelti direttamente dal Presidente, perdendo però i contatti anche con quest’ultimo gruppo. È a questo punto che entra in scena la H.A.D.E.S., il cui scopo è prendere contatto con i militari scomparsi e scoprire cosa stia succedendo all’interno dell’installazione militare nell’Area 51. L’operazione prende il nome di Sandcastle.
Ci ritroviamo a comandare l’agente Reyes, con una visuale in terza persona alle spalle della protagonista, simile all’originale Resident Evil 4. I modelli dei personaggi, non solo di Reyes ma anche di altri militari che incontriamo lungo il cammino, sono realizzati piuttosto bene. Le animazioni sono buone, ma qualche piccola pecca si vede nella realizzazione dei volti, piuttosto freddi ed “artificiali”, con qualche lievissimo sfarfallio di textures nelle parti laterali. Piccolissime cose che per fortuna non intaccano la qualità generale, che fa del suo meglio nella creazione delle locations e negli effetti particellari in molte di esse.
Abbiamo un inventario di scelta rapida con quattro slot disponibili, due dei quali contengono le armi a nostra disposizione: un mitra leggero ed un fucile a pompa. Purtroppo ci rendiamo conto ben presto che, per tutta la durata del gioco, saranno soltanto queste le due le armi a disposizione, nonostante si possano comunque potenziare. Un altro slot è occupato da uno scanner in grado di fare scansioni di oggetti e terminali, per ottenere informazioni importanti. E finalmente, dopo non molto tempo, il gioco ci offre la possibilità di utilizzare un’arma molto più interessante e bella da vedere, che va però imparata ad usare: il Frost Grip.
I nemici, tutta un’altra… velocità
Inizialmente la protagonista non ne è ancora in possesso, ma dopo i primi scontri contro i nemici più comuni del gioco – i Decoy – che riusciamo ad abbattere a suon di proiettili, ne incontriamo una variante color rosso che è impossibile da sconfiggere con le armi a disposizione e, dopo una fuga a perdifiato all’interno del complesso, troviamo finalmente un cadavere da cui otteniamo il Frost Grip, installandolo sul braccio di Reyes.
Il Frost Grip può essere usato in due modi. Con un colpo secco dell’apposito pulsante, può lanciare una bolla ghiacciata verso il nemico, colpendolo e rallentandolo. Tenendo invece premuto il pulsante, l’arma emette un soffio gelido che in pochi secondi può congelare il nemico. Quest’ultimo diventa presto l’uso più frequente contro i Decoy rossi, e ci vede costretti ad usarlo nel momento giusto senza tardare troppo, per evitare che un nemico non ancora ghiacciato riesca a colpirci con i suoi artigli. Una volta congelato ed immobilizzato, Reyes può colpire il nemico frantumandolo per intero.
A differenza di tanti survival horror in cui troviamo zombi ed altri mostri forti ma piuttosto lenti, qui le cose si fanno più difficili. I nemici possono essere creati da una fonte elettrica, che rianima i cadaveri e li teletrasporta a pochi metri davanti a noi, per poi correre e spostarsi in pieno stile Matrix per schivare i nostri colpi e raggiungerci in fretta.
Quindi dimentichiamoci pure di mirare alla testa degli zombi con tutta calma, qui ci vorrà molta più rapidità e sangue freddo. I nemici non ci lasciano scampo neanche con gli attacchi alle spalle, cosa che capita di frequente specie nelle stanze ampie in cui veniamo circondati da almeno 3 o 4 di loro, spesso senza sentirne il rumore dei passi e dei movimenti.
Col passare degli scontri, pian piano prendiamo le misure – o meglio, le distanze – dai cadaveri che potrebbero essere rianimati in qualsiasi momento, studiando con calma in quali punti di un corridoio o di una stanza passare per prevenire un eventuale attacco improvviso. Purtroppo questa tecnica difficilmente funziona con un nemico che si incontra più avanti, lo Sparker. Si tratta di un mostro dagli artigli affilati, in grado di teletrasportarsi istantaneamente su di noi ed ucciderci con un colpo solo, molto difficile da schivare ed uccidere.
Lo Sparker è senz’altro un’idea che aggiunge una certa difficoltà, anzi, fin troppa. Se al primo game over può sembrare una sfida lanciata, ben presto la cosa inizia a diventare frustrante, e potrebbe spingere diversi giocatori ad abbandonare il gioco. Con pazienza ed esperienza riusciremo ad avere la meglio anche su di lui, ma è inevitabile che un nemico così letale ed imprevedibile possa scoraggiare gran parte delle persone a proseguire nel gioco, anche in previsione di incontrarne altri più avanti, magari anche in piccoli gruppi.
Purtroppo, nonostante la difficoltà – talvolta un po’ troppo alta – nel battersi contro alcuni nemici, alla quale si aggiunge un forte senso di claustrofobia in molti ambienti chiusi e stretti, la poca varietà di nemici rende presto il gioco un po’ monotono, diventando un titolo principalmente esplorativo in cui la ricerca di oggetti chiave e la soluzione dei vari puzzle passano in primo piano rispetto al pericolo di apparizione dei mostri, contro i quali si impara pian piano a prevederne l’arrivo e sapere come batterli ancor prima che si avvicinino a noi.
Dalla sua, invece, il gioco rimpiazza i lenti zombi con nemici ben più rapidi e pericolosi, ma soprattutto imprevedibili grazie alle loro apparizioni improvvise. Ciò rende Daymare: 1994 – Sandcastle un survival horror valido ed alternativo al più noto Resident Evil, garantendo diverse ore di sano e “terrificante” gameplay con qualcosa che finalmente sa di diverso dai soliti Leon, Chris, Claire e compagnia varia targata Capcom.
Se il team di sviluppo avesse aggiunto qualche tipologia in più di nemico, il gioco avrebbe potuto raggiungere un risultato ancor più alto. Purtroppo perde qualche punto sotto questo aspetto ma, per il resto, non possiamo che promuovere il lavoro svolto da Invader Studios, grazie anche all’utilizzo di un’arma piuttosto originale che non si limita ad un utilizzo sporadico di secondo piano, ma che fin dall’inizio diventa l’arma più potente ed utile del gioco.
Arma che, una volta che avremo imparato ad usarla tempestivamente ed in modo corretto, diventerà una delle principali fonti di divertimento di Daymare: 1994 – Sandcastle che, nonostante qualche piccolo limite, ci è sicuramente piaciuto.
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