⁃ Supponga di essere nel suo ufficio… è sfinito! C’è una donna alla porta. Entra e non la vede. Si toglie i guanti. Apre la borsa e la vuota sul tavolo. Lei la guarda. La donna ha due centesimi, dei fiammiferi e un nichelino. Lascia il
nichelino sul tavolo, rimette i due centesimi dentro la borsa, poi prende i guanti. Sono neri. Li mette nella stufa, accende un fiammifero. A un tratto il telefono suona. Alza il ricevitore… ascolta. Dice “non ho mai avuto un paio di
guanti neri in vita mia”! Riattacca. Si inginocchia davanti alla stufa e accende un altro fiammifero. Improvvisamente lei si accorge che c’è un altro uomo nella stanza. Un uomo che sta osservando ogni mossa che fa la donna!
⁃ …che succede poi?
⁃ Mha… non lo so! Stavo solo facendo del cinema
Che cos’è il Cinema? Ogni grande regista, nel corso della sua carriera, si è posto questa domanda cercando di rispondere tramite un film. E non sto parlando solo del cinema, inteso come luogo fisico, ovvero la sala cinematografica: certo, il
Cinema è anche quello, la visione. Ma è anche e soprattutto la creazione. Ogni autore risponde secondo la sua sensibilità, il suo stile. Basta vedere la varietà di cortometraggi raccolti in Chacun son Cinéma, film a episodi realizzati da
trentacinque registi internazionali. Ne Gli Ultimi Fuochi Elia Kazan lo racconta così, con il piccolo ma potente monologo riportato qui sopra.
Damien Chazelle invece costruisce un roboante e frenetico colossal. Pachidermico, sia per le dimensioni produttive, che per la sua durata (3h e 8’). Eppure sempre dinamico, dal ritmo frenetico e martellante, come il cuore dei personaggi del film, costantemente sovreccitati da alcool e cocaina. Sinuoso, come i movimenti della macchina da presa, che scivola tra comparse e musicisti in long take acrobatici. Insomma, in un’immagine, un elefante in corsa a una festa.
Come effettivamente si apre il film.
Hollywood, Anni Venti. Manny (Diego Calva), tuttofare messicano approdato a Los Angeles, sogna di lavorare nel mondo del cinema, ma per ora è riuscito solo ad ottenere incarichi nell’organizzazione di alcuni party privati. In California in quel periodo la Settima Arte sta fiorendo, diventando un’industria, o meglio, la cosiddetta “fabbrica dei sogni”: Hollywood e i suoi film forgiano ideologie, miti, iconografie che diffonderanno in tutto il mondo l’American way of life. Manny ne è incantato e vuole anche lui farne parte: perché, come spiega all’aspirante attrice Nellie LaRoy (Margot Robbie) conosciuta a una festa, il Cinema rende possibile l’impossibile. Anche quest’ultima, di umili origini, ma agguerrita quanto
promettente, è determinata ad entrare nello Star System, di cui fanno parte moltissimi divi, come Jack Conrad (Brad Pitt), una sorta di Clark Gable sornione e narcisista, dipendente da alcool e belle donne. E mentre il grande attore prende in
simpatia Manny, portandoselo su un suo set, a Nellie viene fortuitamente proposto di sostituire un’attrice andata in overdose. Sarà l’inizio della loro travolgente avventura.
A ogni giro di giostra, i sogni perdono di nitidezza, offuscati dal chiasso degli ingranaggi di una macchina letale e anestetizzante. Il potere economico degli studios sovrasta quello mitopoietico e una volta dentro è facile caderne vittima.
Ecco perché i party, la frenesia, la sregolatezza. Che Chazelle ci racconta con divertita concretezza, tra sudore, sangue, piscio, vomito… e merda di elefante. Ben lontani dalle favole proiettate sul grande schermo! La storia diventa un
affresco corale, una moltitudine di uomini e donne in balia di un ottovolante alla deriva, sotto il martellante jazz, imprescindibile in quegli anni, e tanto caro al regista (a questo proposito Babylon ha da pochissimo vinto come Miglior colonna sonora originale ai Golden Globe Awards 2023). L’avvento del sonoro è solo la ciliegina sulla torta. Film come Viale del tramonto, Cantando sotto la Pioggia, o il più recente The Artist hanno saputo spiegare al meglio la destabilizzante novità che rivoluzionò il modo di girare film e Chazelle lo sa bene. Stelle come Jack Conrad e Nellie LaRoy, nate all’epoca del Muto, vengono dimenticate con facilità e il loro tutto diventa niente. E allora perché? Perché tutta questa fatica? Perché,
rivelerà la rinomata giornalista Elinor St. John (Jean Smart), per quanto di attori ce ne saranno sempre un’infinità, tramite i film questi diventano eterni. Fantasmi, angeli, che un giorno ispireranno quel bambino che li vedrà sullo schermo.
Una dichiarazione d’amore verso il Cinema, quindi. Sicuramente lontana dall’intimo racconto semi-biografico di Steven Spielberg in The Fabelmans. Chiassosa, barocca, forse eccessiva. Ma perfettamente in linea con i Roaring Twenties.
Quando si dice “Eh, questo vuole fare Ben Hur!” Ecco. Così. Babylon.
Recensione scritta da Francesco Guarnori