Avete mai sognato, in questo caso mi rivolgo ai lettori che ancora frequentano la scuola dell’obbligo, di poter apprendere attraverso il videogioco? Non mi riferisco al luogo comune che sicuramente avrete sentito del “se ti impegnassi nello studio come ti impegni nei videogiochi avresti tutti 10”, ma proprio di usare il videogame come uno strumento per l’apprendimento?
Ebbene, c’è chi ci ha pensato per davvero. Nel corso di questi ultimi anni, anche se come vedremo si tratta di un’idea nata molti anni fa, si è andata sviluppando sempre di più la videogame education, un particolare tipo di apprendimento che vede il videogioco al centro del metodo educativo.
In questo caso non vogliamo parlarvi dei classici giochi per mobile indirizzati ai bambini, gli educational games, ma vogliamo parlarvi di alcune metodologie, che sono state seguite anche da studi socio-psicologici, su come il videogioco può essere utile per l’apprendimento.
Storia della videogame education
In questa fase cercherò di riassumere, molto brevemente, da dove nasce e come si sviluppa questa videogame education. La nostra prima tappa va al 1937. E qui già noterete il fatto che siamo molto ma molto indietro rispetto all’avvento della videoludica. Ma dobbiamo partire dall’opera di Johan Huizinga, il suo “Homo ludens”, da sempre molto considerato negli studi sul videogioco. Ecco, Huizinga parla specificatamente del gioco, in tutte le sue forme. Lo studioso olandese lo definisce come un creatore di cultura, che quindi dipende dal gioco stesso. Questo concetto ci risulta molto importante, in quanto la nostra cultura è sempre più intrisa di elementi che vengono dal mondo del videogioco. Questa idea, nel corso degli anni 70, viene ripresa da Abt, che crea la definizione di serious games.
Questi serious games sono ben diversi dagli altri videogiochi, in quanto, nella loro intenzione principale, c’è quella di educare prima che intrattenere. Ma l’intrattenimento rimane un momento chiave del processo. Si tratta di un processo educativo definito come “learning by doing”. Uno dei primi casi di questo tipo di videogioco è The Oregon Trail, sviluppato nel 1978 da due professori americani. Il vostro obiettivo nel gioco è quello di far sopravvivere e prosperare una famiglia, che si muove in cerca d’oro sulla Oregon Trail, un simbolo della storia americana.
Edutainment: che cosa è
Nel 2011 questi elementi sono la base per la teoria sull’edutainment di Prensky. Questa vede un apprendimento che si muove su cinque livelli: how, what, why, where, when. Il primo livello vede il giocatore impegnato nella comprensione delle meccaniche di gioco, e quindi è la fase di apprendimento attivo vera e propria. Successivamente deve capire le regole del gioco, e come le nostre azioni hanno delle conseguenze in esso. Poi arriva il momento in cui deve riuscire ad elaborare come procedere nel gioco nel miglior modo. In una realtà simulata come quella del videogioco, la presenza di elementi temporali permette lo studio di fasi storiche reali. E infine, il giocatore è chiamato a comprendere le implicazioni morali delle sue azioni in-game.
Questo edutainment ha conosciuto una fase di crescita certamente molto importante, basti pensare a quanto accaduto con titoli come Kingdom Come: Deliverance, che è stato usato in alcune università per ricostruire i fatti della Boemia nel periodo in cui è ambientato il gioco, oppure per esempio quanto sta facendo Ubisoft con le modalità specifiche che riguardano la storia presenti negli ultimi Assassin’s Creed. Ma abbiamo tanti altri esempi di titoli che sono associati all’edutainment, come ad esempio molti simulation games, quali The Sims oppure la serie Civilization.
Digital game-based learning
Con lo sviluppo sempre ulteriore delle nuove tecnologie, ma con l’aumento sempre più vertiginoso del consumo di videogiochi, si è sempre fatta più strada questa idea della possibilità di impiegarli all’interno di altri ambiti. Uno di questi è proprio quello dell’educazione, che, specie soprattutto per quello che concerne il nostro Paese, è alla grande ricerca di innovazione.
Il videogioco può essere una valida alternativa quindi? Ci sono pro e contro. I punti a favore sono certamente molti, come ad esempio il fatto che l’integrazione del videogioco permette la creazione di un apprendimento su più livelli, che passa dall’apprendimento meramente pratico (come si gioca), a qualcosa di più profondo, che va ad intaccare il nostro sistema valoriale. Si tratta inoltre di un apprendimento che, per sua natura, è facilitato. Perché? Molto semplice. Il videogioco, qualora si dovesse fallire nel compito, permette di riprovare, andando quindi a limitare un fattore di frustrazione legato all’insuccesso, ma anzi, aiuta a perseverare e a migliorarsi. (Winnicott, 2013)
Ma dobbiamo anche considerare i punti a sfavore. Prendiamo come esempio proprio la saga di Assassin’s Creed, che più di tutte ha usato la storia che tutti conosciamo come ambientazione per le varie avventure. In molti casi questa storia però, per esigenze di trama, viene ampiamente stravolta, portando quindi notizie false ed errate, che certamente sono le principali nemiche dell’apprendimento. Altro discorso, questo sempre di stampo molto generale, è certamente il fatto che, rimanendo sempre all’esempio di Assassin’s Creed, il gioco, per il suo contenuto, non può essere fruito da ragazzini di età molto piccola.
Nella mia opinione, ritengo che, per eliminare i punti a sfavore che abbiamo citato sopra, un grosso impegno, nel portare questa videogame education, debba arrivare dagli insegnanti, che devono essere bravi nel ruolo di educatori, facendo da filtro agli elementi negativi, andando quindi ad esaltare gli elementi positivi di un metodo che, nel corso del tempo, potrebbe davvero entrare nelle nostre scuole.
Per me quindi, imparare videogiocando è possibile, ma, bisogna essere in grado di trovare sempre un limite, e anzi, potrebbe essere anche uno strumento utile per insegnare ai ragazzi un po’ di educazione all’uso dei videogiochi, cosa che, nel nostro Paese specialmente, manca, e sarebbe ora di iniziare a valutare.
E voi, cari lettori, cosa ne pensate? Alla luce di quanto vi ho descritto, ritenete che la videogame education possa essere uno strumento valido per l’educazione, oppure la vedete come un qualcosa di difficilmente applicabile? Fateci sapere nei commenti!
Inoltre, qualora siate intenzionati, mi permetto di lasciarvi, qui sotto una piccola bibliografia sull’argomento, con i testi da cui è tratto questo articolo, ma anche qualche altro testo, dato che è un tema molto trattato nello studio dei videogiochi della fase attuale. Se volete inoltre maggiori informazioni, potrete anche contattarmi personalmente, attraverso i miei canali social, in quanto molte delle cose che avete letto sono contenute nella mia tesi di laurea.
Bibliografia
- Felini D., Video game education. Studi e percorsi di formazione, Unicopli, Milano, 2012;
- Nebbiai G., La società del (video)gioco. Come il videogioco ha influenzato la società contemporanea, tesi di laurea;
- Huizinga J., Homo Ludens, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2017;
- Prensky M., On The Horizon, citato in Triberti, Argenton;
- Triberti S., Argenton M., Psicologia dei videogiochi. Come i mondi virtuali influenzano mente e comportamento, Apogeo, Milano, 2013.